Nell’aprile del 1815 gli Austriaci, eloquentemente acclamati dal popolo, rientrarono in città. Archiviati i sogni repubblicani, terminati gli anni delle grandi feste, fu ripristinato il vecchio ordinamento e Mantova entrava come provincia a far parte del nuovo Regno Lombardo-Veneto. I primi anni successivi al ritorno dell’Austria furono però estremamente difficili: alla crisi economica e all’insorgere in sede locale di aspirazioni d’autonomia e d’indipendenza l’Impero rispose con l’instaurazione di uno stato assolutista, accentratore e poliziesco. Orientamento che trovava giustificazioni essenzialmente in ragioni di carattere militare. Chiusa la parentesi francese, con la ridefinizione dei confini scaturita dal Congresso di Vienna, la monarchia asburgica fu, infatti, chiamata ad affrontare il completo riassetto del proprio sistema difensivo, giudicato ormai insufficiente anche alla luce delle profonde trasformazioni introdotte nei tradizionali modi di condurre la guerra. Durante le campagne napoleoniche la mobilità delle artiglierie, aveva, infatti, segnato la fine delle fortezze isolate e aveva determinato l’affermarsi di un’organizzazione difensiva di carattere territoriale in cui le singole piazzeforti erano ora concepite come piazze di manovra al servizio dell’armata di campagna, con conseguenti trasformazioni della concezione stessa delle fortificazioni. Guardando ai possedimenti italiani occorre osservare che le campagne napoleoniche avevano sperimentato le varianti di un disegno strategico volto alla conquista di queste regioni in direzione dell’Austria e divenne evidente come le linee fluviali del Reno e del Danubio dovessero essere difese in combinazione con quelle dell’Adige e del Mincio e come queste ultime con i territori fra loro compresi, costituissero un sistema difensivo fondamentale per la difesa del Lombardo-Veneto, già configurato dalla natura che necessitava solo di essere potenziato e rafforzato.

La monarchia austriaca (collezione privata)

L’arciduca Giovanni Battista d’Austria (Wikimedia)

Già nel 1819 l’arciduca Giovanni Battista d’Austria, nominato fin dal 1801 direttore generale del Genio, nel suo piano di difesa dell’impero individuava per i territori italiani un unico sistema difensivo in direzione nord-sud, da Brixen a Mantova, che avrebbe stabilito e garantito una sicura via di comunicazione tra il Tirolo e la Pianura Padana, in grado di consentire sia il ripiegamento sia la preparazione di manovre controffensive. Particolarmente attento allo sfruttamento degli elementi difensivi naturali del territorio l’Arciduca perseguì l’idea di dividere a compartimenti il teatro di guerra con ostacoli successivi; in pianura Mantova e Peschiera così come Verona e Legnago furono concepite quali capisaldi di due linee difensive quella del Mincio e dell’Adige da opporre ad una direttrice di investimento proveniente da ovest. Erano le prime intuizioni del Quadrilatero che, come già detto, scaturivano e tenevano conto dell’esperienza delle campagne napoleoniche condotte in queste zone. Alla città di Mantova, le cui capacità fortificatorie erano state notevolmente accresciute dai francesi di Napoleone, fu quindi ancora una volta riconosciuto un fondamentale ruolo strategico-militare. Fu subito intrapresa un’azione ricognitiva di tutte le infrastrutture militari, disponibili in ambito urbano, che segnò l’inizio di una loro ulteriore riorganizzazione secondo nuovi criteri di razionale distribuzione e funzionalità. Le annose questioni di carattere economico non impedirono, infatti, al Genio militare imperiale di avviare, nelle ormai numerose caserme cittadine, lavori di riparazione e adeguamento alle nuove norme igienico-sanitarie, necessari per poter adeguatamente alloggiare le truppe. Parallelamente fu intrapresa una riorganizzazione di magazzini, depositi e opifici; nel 1816 fu disposta la riparazione di tutti i magazzini degli effetti di casermaggio; nel 1820, in particolare, ottenuti i finanziamenti, s’iniziò la ristrutturazione del magazzino dei letti di Santa Trinità, cui seguì la riorganizzazione di quelli delle polveri.
Furono chiusi il magazzino di Marmirolo e in città la raffineria dei nitrati utilizzati per la polvere da sparo e il magazzino di San Nicolò. Per la conservazione delle polveri e delle munizioni in tempo di pace si ritenne più conveniente, al fine di evitare qualsiasi pericolo, reperire locali esterni al centro urbano ma al tempo stesso sufficientemente vicini per garantire un immediato rifornimento in caso di necessità. Tra il 1820 e il 1821 fu realizzato il nuovo magazzino delle polveri di Stradella e si attuarono lavori di completamento alla polveriera di Bosco Fontana, ricavata secondo il settecentesco progetto di adattamento, nella palazzina dell’ex Eremo dei Camaldolesi. L’ingente impegno economico assunto nel programma fortificatorio della confederazione germanica e la situazione di relativa pace fra gli stati europei, fece momentaneamente accantonare ogni sistematico intervento per il potenziamento delle difese imperiali nei territori italiani.

Fu solo dopo gli avvenimenti del 1830 che, con il timore di un imminente conflitto con la Francia, gli Asburgo si convinsero di predisporre concretamente le difese del Lombardo-Veneto. Al generale Johann Joseph Franz Karl Radetzky von Radetz, diventato comandante dell’armata, era ben chiaro il vantaggio strategico che sarebbe derivato dal predisporre uno scacchiere difensivo che sfruttasse congiuntamente le potenzialità delle linee fluviali dell’Adige e del Mincio e dei territori fra loro compresi. Ancora una volta però, ristabilitasi la situazione politica in Europa, vincoli di carattere economico, limiti di tempo e l’incomprensione del Consiglio Aulico di Guerra non consentirono l’attuazione di un disegno fortificatorio così innovativo e complesso. Radetzky aveva disposto il rafforzamento delle difese di Verona e della linea del Mincio dove le piazzeforti erano in parte ancora munite di cinte bastionate cinquecentesche e del tutto prive di moderni campi trincerati a forti staccati. I progetti definiti per convertire Verona in una piazzaforte di manovra e di deposito furono però eseguiti solo in parte, come fu attuato solo un parziale potenziamento delle piazzeforti di Peschiera e Mantova dove furono mantenute le opere difensive esistenti.
A Mantova nello specifico, già nel 1831, furono intrapresi lavori per potenziare la cinta muraria urbana: in particolare fu disposta la realizzazione di una batteria in terra nel tratto compreso fra San Nicolò e il deposito dell’artiglieria del Gradaro; più tardi furono realizzate nuove casematte in corrispondenza del bastione di Sant’Alessio, di Sant’Anna e nell’opera a corno di Pradella. Dopo un attento rilievo si iniziò ad intervenire anche sulle opere esterne procedendo al completamento dei lavori lasciati incompiuti dai francesi. I maggiori interventi riguardarono il forte di Pietole, in particolare nel 1836 si procedette alla trasformazione delle strutture lignee delle gallerie di contromina esistenti in strutture permanenti in muratura (un intervento simile fu compiuto anche alla lunetta di Belfiore). Successivamente, tra il 1842 e il 1845, furono costruite nuove casematte. Significativi interventi riguardarono anche la definizione delle strutture logistiche che dovevano essere adeguate al fondamentale ruolo strategico assunto dalla piazzaforte. Gli edifici militari avrebbero, infatti, dovuto rispondere alle esigenze della guarnigione in tempo di guerra e di pace e a quelle dell’armata di campagna in tempo di guerra. Occorrevano, oltre alle caserme e agli alloggi per gli ufficiali, appropriati stabilimenti e magazzini per la sussistenza, gli equipaggiamenti e gli armamenti. Nel 1832 in particolare constatata la necessità di un maggiore numero di magazzini furono individuati nuovi ed adeguati locali. Alcuni appartamenti di Palazzo Ducale, le cantine delle caserme e di molti edifici pubblici, chiese e numerose abitazioni private furono destinati a magazzini per la sussistenza. In particolare si ricorda la cessione al Comando Militare del palazzo della Ragione, già sede dei tribunali di giustizia, ove l’ampio salone posto al primo piano fu suddiviso in più ambienti per la conservazione di farine e granaglie.

FML Josef Radetzky von Radetz (Wikimedia)

Sempre nel 1832 fu richiesta l’individuazione all’interno della cinta urbana di appezzamenti adatti alla costruzione di due nuovi magazzini per le polveri e le munizioni in tempo di guerra. Questi dovevano essere costruiti a prova di bomba ed essere dislocati a poca distanza l’uno dall’altro ma sufficientemente distanti affinchè in caso d’esplosione non potessero danneggiarsi vicendevolmente. Entrambi furono realizzati, successivamente, nella zona meridionale della città, il primo nelle vicinanze di porta Pusterla, adiacente al palazzo di San Sebastiano e denominato Sant’Alessio, mentre il secondo in corrispondenza del bastione Sant’Anna, di cui assunse la denominazione.

Il Quadrilatero

Infine tra il 1837 e il 1839 si ricorda la costruzione di un nuovo forno nel magazzino della provianda di San Vincenzo capace di una produzione di settemila razioni di pane giornaliere, in sostituzione della vecchia panificazione che dal 1791 aveva trovato sede nell’ex palazzo Rivara, già occupato dalla dogana. Infine nel 1838 fu decisa ed eseguita, sotto lo stretto controllo di Radetzky, la ridefinizione del raggio fortilizio della piazzaforte con il conseguente nuovo divieto di costruzioni intorno alle opere difensive.
L’effettiva validità e potenzialità del dispositivo di piazzeforti collegate alle linee fluviali dell’Adige e Mincio-Po furono sperimentate e confermate durante le campagne di guerra del 1848-49 e definitivamente impostate come sistema difensivo del Lombardo-Veneto: il Quadrilatero. Peschiera e Mantova, poste sulla linea del Mincio, in posizione avanzata, costituivano i perni di manovra dell’armata, Legnago, in seconda linea, come testa di ponte assicurava l’appoggio all’ala del medio Adige, mentre Verona, in posizione arretrata e direttamente collegata all’Impero, sarebbe stata il deposito dove concentrare tutti i rifornimenti militari del Lombardo-Veneto.
Mantova in particolare, le cui difese erano state notevolmente accresciute dai francesi di Napoleone definiva, direttamente con Peschiera e Borgoforte, seguendo la primitiva linea di difesa fluviale generata dal Garda ed estesa lungo il Serraglio sino alla riva del Po, un sistema in grado di controllare agevolmente il lato occidentale del Quadrilatero.
Dal punto di vista prettamante operativo la conferma della validità di tale sistema richiedeva un adeguato potenziamento delle difese di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona secondo le più aggiornate teorizzazioni del campi trincerati a forti staccati.

Mentre a Peschiera s’iniziò a costruire una cinta di opere esterne minori e a Verona la prima cinta di forti, a Mantova, forse ritenuta sufficientemente difesa dalla natura, oltre ad interventi di completamento e manutenzione si realizzarono opere permanenti sulla linea avanzata occidentale, costituita dall’arginatura dello scolo pubblico denominato Osone nuovo, distante circa quattro miglia dalla città, la cui importanza strategica era stata messa in evidenza proprio durante gli scontri armati del 1848. Le truppe nemiche già prima di quella data avevano qui costruito dei trinceramenti provvisori che furono sostituiti dal Genio militare imperiale con cinque ridotti. All’intera zona, fino ad allora esclusa dai vincoli militari, fu assegnato, nel 1852, il raggio fortilizio con il conseguente divieto di erigere nuovi fabbricati.
All’interno del centro urbano, fra gli interventi messi in atto per la riorganizzazione degli armamenti spiccano in questo periodo i lavori intrapresi dal 1852 per la trasformazione dell’arsenale dell’Artiglieria di San Francesco, ubicato all’interno della città, in un vero e proprio forte entro cui conservare buona parte dei rifornimenti. In seguito ad un esproprio di case e vie pubbliche l’intero complesso fu circondato da mura con una torre a due piani sul lato verso la città in vicinanza del Rio. Il tutto era protetto da un fossato con controscarpa in muratura che dal Rio si protraeva lungo la contrada della Misericordia, attuale via Scarsellini, fino al fianco del palazzo d’Arco nei pressi del quale si rimetteva nel lago superiore. Furono poi collocate due porte d’accesso dotate di ponti levatoi, una tra la torre e il Rio, l’altra all’incirca a metà del lato che costeggiava la contrada della Misericordia.

Fu però solo con gli eventi della seconda guerra d’indipendenza, nel corso della quale furono impiegati per la prima volta i cannoni rigati, di maggiore gittata, che si assistette ad un ulteriore perfezionamento del sistema difensivo del Quadrilatero. Un impianto difensivo che all’indomani del trattato di Zurigo, con la ridefinizione dei confine e la divisione del Mantovano, divenne però un vero e proprio presidio di frontiera. Quando l’Austria fu, infatti, costretta a cedere la Lombardia, escluse Mantova e Peschiera, il nuovo confine fu posto proprio lungo il Mincio, da nord fino alle Grazie per giungere in linea retta a Scorzarolo e da qui lungo il corso del Po a Luzzara. Il Mantovano perdeva quindi parte del proprio territorio, mentre la città, rimasta nella compagine imperiale, conservava anzi rafforzava il proprio ruolo di città-fortezza, un ruolo di piazzaforte cardine del sistema difensivo del Quadrilatero, di baluardo in prima linea sul confine con il futuro Regno d’Italia. È tra il 1859 e 1866 che si collocano i più significativi interventi attuati dal Genio militare austriaco per l’ulteriore potenziamento ed ampliamento della piazzaforte mantovana, fino ad allora giudicata, anche in rapporto alla peculiare configurazione geografica della città, adeguata ed efficiente. Interventi conformi ai dettami riguardanti le fortezze a forti staccati, caratterizzati da una tipologia innovativa definita sistema prussiano o della scuola tedesca in quanto messa a punto proprio dagli ingegneri tedeschi all’inizio del XIX secolo. Sul fronte occidentale, a meridione della lunetta di Belfiore realizzata dai francesi, fu costruita la lunetta di Pompilio, oggi scomparsa. Già progettata da Napoleone Bonaparte in forma diversa, fu realizzata dagli austriaci solo nel 1859 per difendere la strada che da Borgoforte conduceva a Mantova. Si trattava di una struttura ad impianto poligonale con fronte di gola tanagliato, munita di caponiere, polveriera sotto i rampari, ridotto interno e terrapieni completati da muro staccato alla Carnot.

I confini dell’impero dopo la seconda guerra d’indipendenza

La battaglia di Solferino (Wikimedia)

Sul versante orientale, a fiancheggiamento della lunetta di San Giorgio, realizzata dai francesi dopo aver abbattuto l’omonimo borgo, furono progettate e in brevissimo tempo realizzate le opere staccate di Frassine e di Fossamana, caratterizzate da un impianto di tipo poligonale con fronte di gola munito di tamburo o caponiera e ridotto interno casamattato. Appena terminate esse furono però ritenute già superate in quanto non sufficientemente distanziate. Sempre in seguito agli esiti della seconda guerra d’indipendenza all’Austria divenne assolutamente necessario e urgente, poter assicurare la propria presenza anche sui territori della sponda destra del Po. È in questo contesto che s’inserisce la costruzione avvenuta tra il 1859 e il 1861 della doppia testa di ponte realizzata dagli ingegneri asburgici sul Po presso Borgoforte. Località costantemente alla ribalta della storia militare, caratterizzata dalla presenza di un forte restringimento del fiume e da insenature adatte al ricovero e alla sosta delle imbarcazioni, Borgoforte presentava caratteristiche ideali per la realizzazione di un passaggio protetto e avamposto fortificato. In posizione mediana fra Piacenza e Ferrara (punti di forza della linea di difesa austriaca sul Po) Borgoforte era, infatti, direttamente collegato alla linea del Mincio e sufficientemente prossima ad una piazzaforte come quella di Mantova, fortificata dall’arte e dalla natura. La realizzazione di un tale passaggio, la cui importanza si era evidenziata già a partire dagli anni Venti del secolo, avrebbe garantito all’Austria, in generale, un rafforzamento della linea difensiva del Mincio e, in particolare, uno sbarramento della linea del Po, oltre ad un sicuro passaggio per eventuali operazioni offensive contro l’Italia centrale.

Già durante le operazioni del 1859, gli ingegneri militari avevano allestito opere di difesa attraverso apprestamenti campali in sola terra. Solo alla fine del 1859 però, ristabilita la pace, una commissione mista d’Artiglieria e Genio ne decise la trasformazione in opere a carattere permanente. Sulla riva destra furono erette cinque ridotte isolate, disposte su una linea arcuata nel cui centro, presso l’argine fu stabilita la ridotta maggiore (Noyeau) a presidio del ponte militare, in simmetria sulla riva sinistra altre quattro ridotte isolate anch’esse su linea arcuata contornavano l’abitato di Borgoforte.Nella primavera del 1860 si diede inizio all’attuazione del piano, in forma ridotta e comunque diversa forse per ragioni economiche: sulla riva destra fu realizzato il cosiddetto Forte di Motteggiana (Werk Noyeau) posto ad immediata difesa del ponte militare, mentre sulla riva sinistra furono previsti il Forte Centrale (Central Werk) che intercettava la strada in direzione di Mantova, fiancheggiato dai due forti minori Rocchetta (Werk Rocchetta) e Boccadiganda (Werk Bocca di Ganda), posti a cavaliere sull’argine maestro del Po. Nelle opere di Borgoforte in particolare si possono leggere i modelli più perfezionati e architettonicamente compiuti della fortificazione ottocentesca austriaca, in cui la varietà delle forme planimetriche d’insieme, secondo le figure del pentagono, dell’ottagono o d’altri poligoni, si combina con ridotti casamattati per il ricovero del presidio a corpo lineare composito, a figura triassiale, a crociera. Una varietà che dipendeva da rigorose disposizioni balistiche che si coniugava alla capacità e al talento degli ingegneri militari imperiali di trasferire, nella definizione del carattere stilistico delle opere fortificatorie, le tradizioni costruttive del luogo. Il sistema fortificato di Borgoforte nel suo complesso si presenta, di fatto, con caratteristiche del tutto originali rispetto a quanto si stava realizzando nello stesso tempo in altre regioni del Quadrilatero. Particolarità che dall’impianto si estendono alle forme e ai materiali, espressione di quel ragionato eclettico che già dal XVIII secolo contraddistingueva l’operato del Corpo degli Ingegneri militari imperiali e che è evidente nel confronto delle architetture del Quadrilatero.

Borgoforte, forte Centrale, particolare del portale d’ingresso

Piano della terza guerra d’indipendenza

Nella primavera del 1866 quando la situazione politica lasciava ormai intendere l’imminente apertura delle ostilità da parte italiana, la prevista adozione di un ingente numero d’artiglierie rigate che avrebbe dovuto guarnire le piazzeforti del Quadrilatero, determinò la necessità di adeguare anche quelle fortificazioni non ancora in grado di accogliere queste moderne bocche da fuoco. Sia nei bastioni della cinta del corpo di piazza sia nelle opere di Pradella, Belfiore, Cittadella, San Giorgio, Pietole e del Trinceramento del Migliaretto furono, infatti, previsti interventi per le modifiche ai profili dei terrapieni. Nell’ambito delle operazioni relative alla messa in stato di difesa della fortezza sul fronte occidentale, tra le lunette di Belfiore e Pompilio fu inoltre costruita la batteria Belgioioso, un’imponente opera fortificata realizzata in stile semipermanente simile nell’impostazione ai grandi forti di Ca’ Vecchia e Ca’ Bellina, fuori Verona progettati dal generale Tunkler e realizzati in brevissimo tempo nel 1866. Intanto si completavano anche gli interventi alle strutture logistiche di servizio alla fortezza e Mantova assieme a Peschiera, Verona e Legango si preparava all’apertura di nuove ostilità durante le quali l’ormai collaudato Quadrilatero dimostrò per l’ennesima volta l’efficienza del suo potenziale difensivo, inutile però per la conservazione da parte dell’Impero del Mantovano e del Veneto. L’annessione al regno d’Italia, che coincise certamente per il Mantovano con un progressivo affrancamento dai vincoli militari, portò però alla conclusione di un lungo periodo che aveva visto questo territorio tra i protagonisti assoluti degli avvenimenti bellici degli ultimi due secoli, anche attraverso la realizzazione di mirabili opere, strutture e complessi a carattere militare, una architettura strettamente connessa alla morfologia e alla conformazione geografica, aggiornata alle più moderne teorizzazioni ed esigenze dell’arte della guerra, che ha inciso profondamente sul disegno del territorio.

Principali fonti bibliografiche

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