In seguito alla decadenza dell’Impero Romano ebbe inizio il cosiddetto periodo delle invasioni barbariche: Marcomanni, Visigoti, Unni e Ostrogoti si abbatterono sull’Italia settentrionale. La tradizione vuole che proprio in territorio mantovano, nei pressi di Governolo, il papa Leone I sia riuscito a fermare l’onda devastatrice di Attila e dei suoi Unni. Nell’anno 568, dopo aver lasciato le sedi pannoniche e superati i valichi alpini, giunsero in Italia, guidati da re Alboino, i Longobardi, popolo di stirpe germanica che penetrati nel paese seguendo i percorsi delle strade romane, fra cui per buona parte della Pianura Padana la via Postumia, occuparono il Friuli e in seguito Vicenza, Verona e le altre città del Veneto escluso Padova e Monselice, proseguendo poi per Brescia, Bergamo, Milano e altri centri dell’Italia settentrionale. Pavia, che divenne poi capitale, resistette per tre anni; fu poi conquistata la Tuscia ed i territori che avrebbero costituito i ducati di Spoleto e Benevento. Mantova, come Padova e Monselice, cadde sotto il dominio longobardo solamente all’inizio del VII secolo. Fu, infatti, nel 603 che Agilulfo, re dei Longobardi, espugnò la città abbattendo con gli arieti tratti di mura che con ogni probabilità furono poi ripristinati e forse anche rinforzati. Ben poco si conosce però della morfologia urbanistica di questo periodo e i pochi rinvenimenti non forniscono dati completi. Pare comunque che il dominio longobardo non abbia portato alla città interventi degni di rilievo.

Francesco Borgani – Incontro tra Leone I e Attila a Governolo

Con la vittoria di Carlo Magno il Mantovano passò ai Franchi e alla metà dell’IX secolo Mantova entrò a far parte, insieme a Bergamo, Brescia, Piacenza, Parma, Reggio e Modena della marca Attoniana, così chiamata perchè affidata agli Attoni di Canossa dal carolingio Ludovico II. Fu un periodo in cui le condizioni del territorio iniziarono progressivamente a migliorare e si assistette ad una graduale e costante ascesa della città che da «piccolo aggregato di case piantate in un’isola cinta da pali, e di mura per la difesa» iniziava a trasformarsi in un centro sempre più importante sia politicamente sia commercialmente.

Matilde di Canossa (Wikimedia)

Al dominio dei Canossa, l’ultima discendente dei quali fu la contessa Matilde, che tanta parte ebbe nel conflitto tra Impero e Papato, si oppose la coalizione di forze nuove che preparò l’avvento del Comune, istituzionalizzato, con la discesa dell’imperatore Enrico V, nel 1116. Nella città che si ergeva a libero comune spiccava la presenza di mura che non limitavano il proprio ruolo alla sola difesa da minacce esterne, ma svolgevano anche una funzione politica. Alla luce dei pochi e per certi versi contradditori dati emersi dalle indagini archeologiche si suppone che i limiti della città medioevale coincidessero approssimativamente con quella che si è ipotizzato essere stata la città romana d’epoca bassoimperiale (IV secolo d. C.). Quella che è definita la prima cerchia di mura, eretta secondo alcuni storici dopo l’anno Mille, a seguito di quel processo generalizzato che s’individua in Europa come rinascita della città, racchiudeva quindi la zona nord-orientale della città odierna, fra la piazza Sordello, il lago di Mezzo ed il lago Inferiore (poi in gran parte occupata dal complesso della residenza ducale).
Si ritiene che le mura non circondassero l’intero perimetro del nucleo urbano ma che si estendessero quasi certamente a nord-ovest lungo l’asse dell’attuale via Montanari, a sud-ovest adiacenti all’attuale via Accademia, come documentato anche dagli scavi archeologici, mentre lungo i lati di nord-est, già convenientemente difesi dai laghi, queste fossero state probabilmente integrate da semplici steccati e palizzate, anche se però poco o nulla è stato ad oggi in tal senso indagato. Certo è che lungo il tratto nord-ovest le mura erano protette da un fossato (fossatum bovum e fossatum porcorum), interrato nel corso del XVI secolo, che dall’Ancona di Sant’Agnese le lambiva fino ad immettersi nel lago Inferiore.

L’accesso in città poteva avvenire attraverso quattro porte: la Porta di San Pietro, in corrispondenza dell’attuale ‘voltone’ di piazza Sordello, la Porta di San Damiano (o della Trinità), sull’asse di piazza Arche, la Porta di Guglielmo, in direzione del lago, sita in luogo prossimo all’ubicazione della successiva Porta di San Giorgio, e infine la Porta del Vescovado, posta sulla direttrice di via Fratelli Cairoli. Oltre la città, sino all’avvallamento nel quale in seguito fu scavato il Rio, si trovava il suburbio cui si accedeva mediante la Porta delle Quattro Porte (piazza Cavallotti), la Porta del Monticello (piazza martiri di Belfiore) e la Porta dell’Ospedale (probabilmente all’imbocco dell’attuale via Pomponazzo). All’interno di esso si sviluppavano diversi borghi: quelli di San Giacomo, di San Silvestro, di San Martino, di Sant’Egidio, di San Barnaba, di San Giovanni Evangelista, di San Leonardo e di San Nicolò, mentre sulla riva sinistra del Mincio si sviluppavano gli abitati di Porto e di San Giorgio, collegati alla città mediante la costruzione sulla valle paludosa del fiume di due ponti in legno; un altro ponte in legno univa la zona di Cipata, ed est di San Giorgio, col borgo di San Nicolò. I vasti acquitrini formati dal corso del Mincio rendevano difficili e in alcune stagioni impossibili le comunicazioni regolari fra le varie zone abitate, creavano condizioni particolarmente malsane per tutti quei terreni nei periodi di magra del fiume, mentre «ogni volta che il Mincio cresceva, si rappresentava nondimeno dinanzi agli occhi dei mantovani il ritratto di uno spazioso lago, onde tutti si auguravano di vederlo sempre in quello stato per vaghezza e fortezza della città». Alla fine del XII secolo la morfologia urbana registrò interventi che ne modificarono profondamente la fisionomia. La superficie interna alla prima cerchia di mura divenne presto insufficiente ad accogliere una popolazione in costante aumento e, connessa ad esigenze di progressiva espansione della città, si ravvisò come essenziale la necessità di una regolazione adeguata del corso del Mincio, mediante la quale disporre regolari vie di comunicazione per lo svolgimento di traffici anche fluviali e approntare la difesa contro attacchi nemici. Gli interventi attuati alla fine del XII secolo e finalizzati alla regolamentazione del sistema idrico del Mincio sono legati alla figura dell’ingegnere bergamasco Alberto Pitentino da Almenno, approdato a Mantova, probabilmente nel 1187, al seguito di un altro bergamasco, Attone dei Pagani da Mornico, primo podestà laico e forestiero della città.

Mura della prima cerchia

Veduta del Lago Superiore (Wikimedia)

All’ingegnere bergamasco si attribuisce l’ideazione, tra il 1188 e il 1190, del grande bacino a monte del centro abitato, ovvero il lago Superiore, sostenuto dagli argini di Pradella e dei Mulini, così come la realizzazione del canale artificiale Rio che con l’evidente funzione di canale regolatore congiunge il lago Superiore con quello Inferiore, la costruzione in muratura del ponte di San Giorgio, che assieme alla diga-ponte dei Mulini collegava la città al territorio circostante, e l’intervento che portò l’Osone a confluire nel lago Superiore presso Curtatone. Interventi che portarono alla definitiva impostazione del sistema idrografico della città e che concorsero a fissare definitivamente le linee di sviluppo dell’ampliamento del nucleo urbano. Nel 1190, infatti, i luoghi fino ad allora indicati come esistenti in burgo o in suburbio cominciarono ad essere detti in civitate indicando chiaramente uno sviluppo urbano che andava includendo i terreni già abitati e edificati, posti a sud-ovest, superando così il precedente limite del fossatum bovum (attuale via Accademia), comprendendo anche l’insula cornu (poi inglobata nel quartiere di San Leonardo). Il limite della città ampliata, a sud-ovest fu quindi fissato dal canale artificiale Rio, presumibilmente rinforzato lungo tutta la sua lunghezza da una palizzata, sul quale si affacciarono quattro nuove porte: porta Leona (o del Leone), già porta delle Quattro Porte, sull’asse dell’attuale corso Umberto I; porta del Monticello (o dei Monticelli), sull’asse di via Roma; Porta dell’Ospedale (detta poi degli Arlotti), sull’asse di via Pomponazzo; Porta Nuova, sull’asse di via Fratelli Bandiera.

Queste, attraverso ponti, consentivano l’accesso al nuovo suburbio, difeso da un fossato (redevallo) che costituiva una cintura d’acqua che circondava il suo fronte occidentale e meridionale, separandolo dall’isola del Te e dal Migliaretto. La costruzione del redevallo si ritiene successiva alle sistemazioni di Pitentino, ad opera di non meglio specificati ingegneri e per ragioni prettamente difensive. Inizialmente un ponte metteva in congiunzione il suburbio col territorio circostante e contiguo al fossato fu eretto un terrapieno (o terraglio). Con la prima espansione il nucleo, giuridicamente definibile urbano, risultò più che triplicato e lo spazio cittadino completamente riorganizzato a vantaggio della civitas nova che almeno fino all’ultimo quarto del Duecento continuò progressivamente ad accrescere sia la propria influenza economica sia il proprio prestigio politico. Le antiche mura della civitas vetus Mantuae persero quindi progressivamente la loro funzione originaria e con la definizione delle direttrici di espansione della città si cominciò a pensare alla costruzione di nuove e più robuste mura per la difesa da attacchi nemici ma anche per la difesa idraulica dalle acque del Mincio. Sembra, infatti, che l’esistente terraglio che come detto delimitava il suburbio sia stato progressivamente consolidato da murature. Si apprende, infatti, che nel 1240 Guido da Correggio fece costruire «bonissime mura» dal Cepetto, nei pressi di Porta Mulina, fino alla Porta Pradella; nel 1242 fu realizzata la porta e si proseguirono le mura fino alla chiesa di San Nicolò, sulla riva del lago Inferiore, e cioè fino all’insenatura dove sarebbe poi sorto il porto Catena. Il rimanente tratto di mura, dalla chiesa di San Nicolò fino al Cepetto, fu completato invece solo più tardi, superando notevoli difficoltà costruttive dovute alla scarsa consistenza del terreno e alla presenza di numerose case da abbattere in riva al lago. Tre erano infine le porte di accesso al suburbio: la Porta dei Folli, costruita nel 1240 (poi distrutta nel XVI secolo) presso la futura Porta Cerese; la Porta dell’Acquadrucio (la futura Porta Pradella), eretta nel 1242 e la Porta di San Marco, poi della Pusterla, presso l’attuale Largo XXIV Maggio. L’intenzione di estendere la difesa oltre l’ambito urbano, già validamente protetto dalla cintura dei laghi, anche ad una parte di campagna coltivata, portò i mantovani a creare una seconda e più vasta cintura difensiva di emergenza, che sfruttava alcune depressioni del terreno colmate, nei momenti di pericolo, da acque fatte appositamente defluire con l’opportuna deviazione di alcuni fiumi.

Particolare del Rio

Attorno al 1259 viene, infatti, fatta risalire la realizzazione dello sbarramento difensivo del Serraglio, che partendo da Curtatone e passando per Borgoforte, dove si trovavano un castello e una rocca, giungeva fino a Governolo. Con il Serraglio era possibile allagare, attraverso la valle di Buscoldo, una vasta zona di territorio a sud- ovest della città, compresa fra il Mincio, l’Oglio e il Po.

La cacciata dei Bonacolsi (Wikimedia)

Al periodo comunale, che portò Mantova a crescere e ad espandersi oltre la prima cerchia, fece seguito all’inizio del XIII secolo, un confuso periodo di lotte intestine tra le famiglie più importanti al fine di assicurarsi il governo della città. In questo contesto intorno al 1272, s’insediò al potere Pinamonte Bonacolsi col titolo di “capitano generale”, in un continuo alternarsi di congiure, lotte contro città vicine e operazioni militari nel territorio. Grazie ad un’accorta politica di pacificazione interna e di alleanze con l’esterno, Pinamonte, spinto da una logica di potere personale, fu in grado di consolidare la posizione di forza del proprio casato, una politica praticata pure dai suoi successori anche attraverso acquisizioni immobiliari all’interno del tessuto della civitas vetus che i Bonacolsi cercarono di trasformare in una specie di cittadella di famiglia. È in questo periodo che, accanto all’acquisizione di diversi immobili, tra i quali la torre dello Zuccaro, la torre della Gabbia e alcune case adiacenti al palazzo di famiglia, fu ricostruita e ampliata la porta di San Pietro e furono sopraelevate, non per ragioni militari ma per ragioni che si potrebbero definire simboliche, le mura più antiche della civitas vetus. Il 16 marzo 1328 Luigi Gonzaga però con l’aiuto dei figli Guido, Feltrino e Filippino e di milizie veronesi s’impadronì del potere dopo una scaramuccia in cui rimase ucciso Passerino Bonacolsi. Iniziavano così i quattro secoli di potere gonzaghesco che oscurarono ben presto la memoria e gli esiti della politica bonacolsiana.

Principali fonti bibliografiche

Carpeggiani, P.-Pagliari, I. (1983)Mantova. Materiali per la storia urbana dalle origini all’Ottocento, Mantova, Gianluigi Arcari Editore, pp. 11-23.
Marani, E. (1967)Il paesaggio lacustre di Mantova fra antichità romana e Medioevo, parte seconda, «Civiltà Mantovana», a. II, quaderno 11, pp. 361-387.
Marani, E. (1969)Indicazioni documentarie fondamentali sulle tre cerchie di Mantova, «Civiltà Mantovana», a. IV, n. 22, pp. 225-240.
Tamassia, A.M. (1989)Mantova, in Archeologia urbana in Lombardia. Valutazione dei depositi archeologici e inventario dei vincoli, Modena, Panini, pp. 116-124.