Il capitaniato (1328-1433)
La violenta presa del potere su Mantova da parte di Luigi Gonzaga, divenuto nel 1328 Capitano Generale del Popolo, innescò la rapida ascesa politica del casato che, troppo debole per procedere autonomamente, dovette da subito sottoporsi alla più consolidata autorità scaligera ed aderire alla fazione ghibellina. Un primo trattato di amicizia con gli Scaligeri fu stipulato a Verona nel 1329 (per ribadire l’antica alleanza già stabilita sotto i Bonacolsi) quasi in contemporanea con l’atto di sottomissione all’imperatore Ludovico il Bavaro che nominò il Gonzaga vicario imperiale. La discesa in Italia di Giovanni re di Boemia (1330), intenzionato ad impedire l’espansione scaligera nella Lombardia occidentale, costrinse Mantova ad aderire alla lega indetta contro di lui (1332). L’ambizione e lo strapotere veronese indussero però il Gonzaga a cambiare presto partito e ad intraprendere (in seno ad una lega appositamente costituita nel 1337 e della quale fecero parte i Visconti) la guerra contro l’antico alleato per giungere ad una prima pace (1339) e a un trattato di mutua assistenza, in chiave antiveronese, siglato col Visconti nel 1341. Ne seguirono altre guerre, sempre contro Verona (1341-45) e contro la sua alleata Parma (1345-46); la pace con gli Scaligeri e la comune adesione alla Lega di Legnano furono siglate nel 1346 insieme ai Visconti. Accadde allora che Luchino signore di Milano, rivolgendosi nel 1348 contro l’alleato (anche con l’appoggio veronese ed estense), attaccasse Mantova, direttamente coinvolta (e per la prima volta dalla presa del potere gonzaghesco) in uno scontro per la sopravvivenza: le ostilità scoppiarono a luglio, le forze viscontee furono le prime a passare in territorio mantovano giungendo a Borgoforte, dopo aver occupato i centri gonzagheschi posti nei territori cremonese e bresciano.
Luigi Gonzaga, primo capitano(Wikimedia)
Nel frattempo l’esercito scaligero si accampava a Curtatone. Altre forze riunite di Estensi e Scaligeri non riuscirono però ad attaccare Governolo se non ad agosto inoltrato. Sebbene priva di alleati Mantova non solo resistette, tenendo i nemici al di fuori del Serraglio, ma riuscì nell’impresa di sconfiggerli sul campo. La morte di Luchino consentì infine, nel 1350, la ridefinizione di una alleanza difensiva con gli ex aggressori.
Fu all’indomani di questi drammatici eventi, che Luigi decise probabilmente di avviare il completamento delle ancor deboli difese cittadine. Secondo la cronaca di Bonamente Aliprandi Mantova fu infatti “murata” nel 1352, sebbene non sia specificato in quale porzione del perimetro. La Cronaca di Federigo Amadei registra alla metà del XIV secolo il completamento delle mura nel tratto compreso fra San Nicolò e la darsena di Catena. Secondo altre fonti in quell’anno il Gonzaga dispose la costruzione delle mura non solo lungo le sponde lacustri orientali, ma anche lungo le settentrionali (dunque dalla portella di San Nicolò sino a Porta Mulina o al Ceppetto), sostituendo forse preesistenti terragli e palizzate e chiudendo quasi integralmente l’antica ancona di Sant’Agnese. Quest’ultima, nel 1353, sarebbe stata ristretta verso sud e verso la sponda cittadina (ormai impaludata) mediante un argine in terra che facilitò i collegamenti fra i popolosi quartieri di San Leonardo e San Pietro. Secondo alcuni le opere furono invece circoscritte alla sola zona del terraglio, ovvero ai confini meridionali del suburbio.
Mura che difendevano l’ex ancona di Sant’Agnese
Furono questi anni di relativa calma, anche grazie all’assoluzione di Mantova (1353) dall’interdetto lanciato da papa Clemente VI contro la città ai tempi di Passerino Bonacolsi (a causa dell’appoggio offerto all’imperatore Ludovico il Bavaro) e all’assegnazione fatta dall’imperatore Carlo IV alla famiglia dominante (1354) dei diritti già appartenuti ai Bonacolsi. Poi nel 1356 l’adesione alla lega antiviscontea al fianco di Venezia e la sanguinosa guerra che vide le truppe di Bernabò Visconti infrangere le difese di Governolo, irrompere nel Serraglio, prendere Borgoforte e assediare città. La pace fu siglata nel 1358 insieme all’umiliante atto di vassallaggio fatto dai Gonzaga nei confronti dei Visconti. Morto Luigi nel 1360, Guido Gonzaga divenne Capitano Generale sino al 1369, quando gli subentrò Ludovico I. Secondo Stefano Davari all’ottobre 1370 risalirebbe l’innalzamento di 8 braccia (ca. 3,70 metri, con terra prelevata dall’Isola del Te) di un’ampia porzione di terreno tra le chiese di Gradaro e San Nicolò per proteggerla dalle esondazioni del Mincio, segno che a quella data le mura (se non proprio assenti) erano comunque inadeguate a contenere le filtrazioni o le piene fluviali. Sempre intorno alla metà del Trecento, o forse a cavaliere dell’ennesima guerra contro Scaligeri e Visconti (1368-69) combattuta nel Serraglio e sul Po, fu configurato il Porto della Catena, le cui primitive caratteristiche sono oggi difficilmente riconoscibili: ben più ampio del bacino attuale, cioè esteso dove oggi è Piazza Anconetta (e plausibilmente anche oltre), alimentato dalle acque del Rio (per evitare l’accumulo di sedimenti), difeso da alte mura dotate di scarpa e merlatura, con unico imbocco vigilato dal corpo di guardia e chiuso nelle ore notturne da una catena. Non è escluso che lo scalo possa avere avuto origine approfondendo, regolarizzando e quindi allagando alcune dismesse cave d’argilla.
La località Anconetta, attigua alla chiesa di San Nicolò, era infatti nota sin dal XIV secolo come “a fornacibus” e furono proprio gli artigiani ad aprire nelle mura la Pusterla che della vicina chiesa portava il nome. Il ponte di San Giorgio fu riedificato in muratura (secondo alcune fonti dalla fine dell’XII secolo, secondo altre proprio dalla metà del XIV o addirittura intorno al 1377), difeso al capo cittadino di Porta San Giorgio mediante un rivellino o un barbacane con ponte levatoio (anche per facilitare il transito delle imbarcazioni) e al capo orientale da una Rocchetta (probabilmente anch’essa con ponte levatoio, datata al 1372) che fungeva da accesso protetto e integrato nelle mura turrite di borgo San Giorgio, erette nel 1371. Rimarcando l’incerta datazione della cinta orientale, Davari afferma che fu invece il capitano Francesco Gonzaga intorno al 1395, cioè in contemporanea coi lavori al castello, a ordinare la costruzione delle mura che connettevano il nuovo fortilizio al Fossato dei Buoi, fabbricandovi a cerniera la Torre di Sant’Alò (detta perciò Torre Nova nel 1401), ai cui piedi erano un approdo e una piazza, l’odierna Piazza Arche. Il castello, opera di Bartolino da Novara, fu eretto fra 1395 e 1406 in capo al ponte di San Giorgio e in anni cruciali per la signoria mantovana, all’indomani cioè della decapitazione di Agnese Visconti (1391, era giunta in sposa al Gonzaga nel 1380) e dell’adesione gonzaghesca alla lega antiviscontea (1392, 1396), all’epoca cioè delle forti tensioni fra Gonzaga e Gian Galeazzo Visconti. Tensioni tradottesi in vera e propria guerra con attacchi condotti sotto le stesse mura di Mantova e culminate nel parziale crollo della diga-ponte dei Mulini, infranta nel 1397 dalle acque del Mincio, repentinamente rilasciate per il cedimento della monumentale diga-ponte viscontea di Valeggio che, insieme alla rosta eretta in quegli stessi anni nell’alveo del fiume presso Peschiera, costituì il tentativo milanese di deviarne stabilmente il corso a danno di Mantova, ma soprattutto di alimentare un invaso a sud del Garda per difendere il territorio visconteo. Fra 1394 e 1396 Francesco aveva però concluso i lavori di costruzione e fortificazione della chiave di volta dell’intero sistema di difesa lacuale: la Chiusa di Governolo.
Mura che difendevano l’ex ancona di Sant’Agnese
Ristretta la sezione fluviale del Mincio con un argine in terra e due bocche di chiavica suddivise da un pilone in muratura su cui fu eretta una torre scudata, fu possibile innalzare le acque defluenti in Po e conseguentemente regolare a quote più alte il livello del Mincio e dei laghi di Mezzo ed Inferiore. Operazione indotta dall’apprensione per il possibile successo della tentata deviazione (o ritenzione) del Mincio a Valeggio e dai non meno giustificati timori di un possibile attacco navale contro Mantova da sud, passando cioè dal Po direttamente ai laghi cittadini. L’innalzamento delle acque ebbe positivi riflessi anche sulla vita civile e commerciale, consentendo un più deciso allagamento delle paludi di sponda, agevolando la navigazione sul Mincio Inferiore e i bacini lacustri, oltre che l’accostamento dei natanti ai porti ed agli approdi cittadini.
La costruzione (o la sopraelevazione dell’argine di Cerese) potrebbe dunque coincidere, se non con la costruzione di quello di Pradella (che definì allo scadere del XII secolo il Lago Superiore), proprio con la migliorata regolazione del fiume a Governolo e la necessità di innalzare le acque dei laghi Inferiore e di Mezzo indipendentemente da quelle del Lago di Paiolo, allagando parte delle terre basse dell’Isola del Te.
L’11 maggio 1398 fu finalmente firmata una tregua d’armi e il 21 marzo 1400 la pace; per il Gonzaga si trattava di un successo: era infatti riuscito a sottrarsi all’egemonia viscontea, aveva affermato la propria indipendenza di fronte ai principali stati della penisola, era entrato in rapporti con potenti alleati come Venezia e addirittura con la Francia. Tutto ciò grazie agli equilibrismi politici, ma anche alla forza delle armi e al deciso potenziamento dell’assetto fortificatorio della città e del territorio.
La pace, la fama di imprendibilità e il ruolo di prestigio assunto da Mantova indussero il Gonzaga, nel 1401, ad ampliare definitivamente la città oltre il Rio, dopo aver preannunciato già nel 1397 la ripartizione dei nuovi quartieri.
Fra le porte cittadine nel 1404 è ancora annotata la turrita Porta dei Folli e ancora in un documento del 1414 insieme alle consolidate e più importanti porte Cerese, Acquadruccio, dei Mulini, e (fra le altre) alle meno note porte della Misericordia (che doveva essere assai vicina al Castello di San Giorgio e all’ospedale di Santa Maria della Misericordia) e del Ceppeto (presso Porta Mulina). Il toponimo di quest’ultima, più che ai ceppi di costrizione per ladri e malfattori (menzionati da Gabriele Bertazzolo nel 1628), potrebbe ascriversi ad una perduta “cepata” (o “zepata”), ossia ad una palizzata difensiva forse antecedente alla costruzione delle mura in quel tratto di perimetro, avvenuta come detto intorno al 1352 e comunque entro il 1404. Se la Porta della Misericordia non può attestare da sola e con certezza l’avvenuto completamento delle mura fra l’Ancona di Sant’Agnese e la Torre di Sant’Alò, la sua presenza costituisce comunque una novità rispetto al panorama degli accessi cittadini noti a quella data.
La città di Mantova nell’affresco del palazzo della Masseria
Le mura del borgo di Porto disponevano, sempre nel 1404, di un accesso orientale (l’unico verso ‘terraferma’?) chiamato Porta Santa Giulia (trasformato poi nella cinquecentesca Porta Giulia), mentre una seconda porta (detta del Vaso) costituiva invece il capo settentrionale della diga-ponte dei Mulini.Da est, ossia dalla citata Rocchetta di San Giorgio si accedeva alla città passando sul ponte omonimo, all’epoca interrotto dalla Porta “a Navigio”, che quasi certamente va identificata con la torre ed il ponte levatoio posti verso il Castello. Proprio nel 1404 il ponte fu restaurato e coperto: la galleria, bucata da alte finestre archiacute, è coerentemente rappresentata nel cosiddetto affresco della Masseria, eseguito intorno al 1433 (all’indomani della vittoriosa guerra combattuta da Gian Francesco Gonzaga contro Filippo Maria Visconti -1426-28- e delle nomine a capitano generale di Venezia e a primo marchese di Mantova -1433-). Esso mostra il recinto della città sostanzialmente completo. Vi sono raffigurate in primo piano le mura comprese fra la diga-ponte dei Mulini (coperta sino alla Rotta) e il Ponte di San Giorgio; vi si scorge distintamente un varco difeso da una torre merlata per l’acceso all’Ancona di Sant’Agnese e un secondo accesso cittadino vicino al Castello di San Giorgio (forse la predetta Porta della Misericordia). Subito a sud del maniero bartoliniano, in asse con il ponte, è invece Porta San Giorgio, detta del Volto Oscuro, poi inglobata nella cosiddetta Corte Nuova di Palazzo Ducale. Al di là di essa si scorge una torre merlata coperta da un tetto (la Torre Nuova) e altre tre torri merlate appartenenti al tratto di mura successivo, verso Porto Catena o San Nicolò.
Ben riconoscibile è la turrita Porta Cerese, che immetteva al lungo argine attraversante le terre basse di Migliaretto, lungo il quale è per la prima volta documentata e rappresentata la Torre del Vaso, posta a protezione del manufatto idraulico che regolava in uscita le acque del Lago di Paiolo. La cinta muraria merlata che chiudeva la città verso sud era quindi interrotta da Porta Pusterla (raffigurata in forma di torre scudata) al di là della quale non è però rappresentata l’Isola del Te, ma una distesa indistinta d’acqua e canneti che si confonde con i laghi, indice forse della inondazione resa possibile dall’innalzamento delle acque di Paiolo. Tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400, pur immaginando un’isola parzialmente selvaggia in forma di brughiera, sono con certezza registrati al di là delle mura meridionali (ma solo ad est dell’argine di Cerese) il monastero di San Matteo in Migliaretto (1390) e l’Ospedale di San Biagio (già nel 1401), nessuno dei quali è però raffigurato nell’affresco.
All’angolo sud-occidentale (laddove le mura piegavano grossomodo in corrispondenza dell’attuale Piazzale Gramsci e di via Fancelli, lungo la quale sono peraltro in parte sopravvissute) era una torre chiusa, mentre una seconda torre scudata si trovava accanto o poco distante dalle due torri triangolari di Porta Aquadruccio. Quest’ultima era preceduta da un cortiletto d’arme o di sortita (murato e comprendente con ogni probabilità il battiponte), oltre il quale (lungo l’argine di Pradella e al di là del “vaso” che alimentava il Lago di Paiolo) era una torre dotata di ali merlate e forse di ponte levatoio. Procendendo lungo il perimetro cittadino si incontrava l’accesso turrito al Portazzolo di San Francesco, dove ancor oggi (per un breve tratto in sponda sinistra di Rio e lungo viale Pitentino) sopravvive una porzione di muro difensivo con feritoie da arciere (in parte murate) del tipo raffigurato proprio nell’affresco della Masseria per le sole mura comprese fa le porte dell’Acquadruccio e dei Mulini. A tal proposito, mentre Marani nega l’esistenza lungo il Rio di mura difensive, Stefano Davari riporta che nell’attuale via Marangoni, “[…] nei secoli XIII e XIV, sorgeva un terrapieno a sostegno dell’acqua del Rio, che dalla Porta Nuova [ossia dal ponte che consente all’attuale via Solferino e San Martino di superare il corso d’acqua] veniva a congiungersi con un dosso eminente, che era detto il Monte […]”; di fatto un terraglio che probabilmente costituiva la prosecuzione delle mura del Portazzolo. Le difese del borgo di Porto (interrotte nel 1433 da due porte, una delle quali in direzione di Verona) e quelle di San Giorgio sono entrambe raffigurate in forma circolare o per meglio dire poligonale, come nella coeva Carta dell’Almagià. I recinti murati costituivano le difese esterne alla città nei punti nevralgici più esposti, ruolo svolto a sud dall’isola del Te, sulla quale era possibile approntare, in caso di necessità, linee di difesa integrative al già fortificato perimetro meridionale della città.
Tratto di mura con feritoie lungo l’attuale via Fancelli
Il marchesato (1433-1530)
Veduta della vecchia conca di Governolo
Nonostante la guerra condotta da Gian Francesco contro Venezia (1439-41) e a quella intestina fra i suoi figli (il marchese Ludovico Gonzaga contro il fratello Carlo -1452-53-), le fortificazioni di Mantova conobbero nella seconda metà del XV secolo interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, ma non di sostanziale potenziamento. Nel 1459 va registrato, ad opera degli ingegneri Giovanni Antonio da Arezzo e Giovanni da Padova, il riassetto della Chiusa di Governolo per l’innalzamento delle acque dei laghi di Mezzo e Inferiore e per consentire al corteo pontificio di Pio II Piccolomini (e degli invitati alla dieta indetta per liberare Costantinopoli dalla dominazione turca) un più facile accesso fluviale alla città. L’innalzamento delle acque determinò allora la modifica del Vaso di Cerese e il raddrizzamento della Torre, operazione delicata e complessa condotta con maestria dall’ingegnere bolognese Aristotele Fioravanti. In quell’occasione (ma forse già dal 1457) il Castello di San Giorgio, perduta la preminente funzione difensiva, fu trasformato in residenza dal marchese Ludovico II Gonzaga. A quegli anni risale il dipinto riproducente la Morte della Vergine (oggi conservato al Museo del Prado di Madrid), eseguito da Andrea Mantegna per la cappella del Castello. Sullo sfondo si scorgono nitidamente il Ponte di San Giorgio con le opere di difesa e il turrito e murato borgo di San Giorgio.
Le fortificazioni cittadine furono concretamente aggiornate solo a partire dal XVI secolo; nel 1509 l’ingegnere Girolamo Arcari per volere di Francesco II Gonzaga realizzò un ponte levatoio alla porta settentrionale del borgo di Porto, ma fu il marchese Federico II ad intraprendere l’ambizioso ed organico piano di riassetto plausibilmente già previsto dall’uomo d’arme Alessio Beccaguto e dal IV marchese, il principe guerriero salutato nel 1495 come il vincitore della battaglia di Fornovo. Quest’ultimo aveva conosciuto l’onta della prigionia veneziana fra 1509 e 1510, le scorribande francesi sul Mantovano nel biennio 1510-11 e quelle di transalpini e imperiali nel 1516. Nel 1519 (cioè prima dell’anno 1521 indicato da alcune fonti) e dopo la morte di Francesco II, le opere già erano avviate sotto la direzione di Beccaguto e del nuovo marchese Federico II.
Quest’ultimo fu nominato Capitano Generale della Chiesa nel 1520 e dovette scendere in campo contro i francesi già nel 1521-22. Il torrione circolare di Gradaro fu allora intitolato a San Paolo per adempiere alla volontà del defunto marchese Francesco II. Nel 1522 Beccaguto prevedeva di finire i lavori entro i successivi dieci anni; il progetto comprendeva anche il rifacimento delle cinte orientale e settentrionale, da San Nicolò a Porta Mulina, con l’aggiunta di un terrapieno al castello di San Giorgio, munito di due torrioni a difesa dei palazzi gonzagheschi e della testa di ponte cittadina e rispettivamente disposti sui laghi Inferiore e di Mezzo. Il progetto rimase però sulla carta, nonostante i venti di guerra si inasprissero con la nomina di Federico a Capitano Generale di Firenze, sfociando nella seconda campagna contro i francesi del 1523. L’estensione dell’opera di Beccaguto è inequivocabilmente segnalata dalla forma dei bastioni a pianta circolare, caratteristici della fine del XV secolo e dell’inizio del XVI, ricorrenti nelle città di Padova, Treviso e Venezia dove a rilevarne le forme fu appositamente inviato il pittore Lorenzo Leombruno. A Mantova i baluardi circolari sono soltanto due: quello già citato di Gradaro (costruito nel 1521) e quello di fronte all’isola del Te.
Andrea Mantegna, La morte della Vergine (Wikimedia)
La rondella del Gradaro
Beccaguto lavorò nel 1522 alla costruzione delle mura nel tratto da Gradaro a Porta Cerese e, fra 1523 e 1525, da Porta Cerese a Porta Pusterla. In quell’occasione le merlate mura medioevali furono demolite o forse solo abbassate, rinfiancate da rampari o da un terraglio interno, potenziate verso l’esterno con fodere murarie, basamento a scarpa e un più ampio fossato che prese il nome di Fossa Magistrale, sul cui tracciato insiste l’attuale viale Risorgimento.
Mentre ancora fervevano le opere, il pericoloso transito dei lanzichenecchi diretti a Roma (1526) e la morte a Governolo di Giovanni dalle Bande Nere indussero Federico II ad una politica di opportunismo, aderendo prima alla Lega di Cognac nel 1527, ma rendendo poi omaggio all’imperatore Carlo V a Genova nel 1529, ricevendo quindi la nomina di capitano generale delle truppe imperiali e, trionfalmente a Mantova, anche il titolo di I duca (1530).
Il ducato (1530-1707)
Consolidato il proprio ruolo politico, il Gonzaga concentrò l’attenzione sugli ingressi meridionale e settentrionale della città. Fece costruire da Giulio Romano la propria villa sull’Isola del Te, che fece parzialmente perimetrare con terrapieni dal 1529 sin oltre al 1531 per proteggerla dalle inondazioni fluviali, dopo che nel 1530 aveva ordinato agli ingegneri Agostino e Gabriele sr. Bertazzolo di chiudere le bocche della chiusa di Governolo per allagare la spiaggia del Migliaretto (che ad est dell’argine di Cerese mai fu arginato) per stupire l’imperatore Carlo V con l’efficacia delle difese idrauliche cittadine. Nel 1531, dopo la morte di Beccaguto (1528), Leombruno ambì alla direzione delle costruzioni militari, presentando invano un progetto di fortificazione del sobborgo di Porto. Federico II preferì affidare l’incarico a un uomo d’armi, un certo Capino de Capo, che mostrò di essere ingegnere militare aggiornato alle nuove tecniche per armi da fuoco, come attesta la pianta poligonale del bastione da lui eretto nel 1531 a ponente di Porta Pusterla. Dei tre baluardi costruiti verso sud, ne sopravvive oggi solo uno, parzialmente visibile al capo orientale dell’odierno viale Allende, in corrispondenza di quanto resta della cosiddetta Valletta Valsecchi, l’ampia depressione paludosa allagabile che divideva la città dall’isola del Te all’uscita della Fossa Magistrale nel Lago Inferiore. Il demolito baluardo a cuneo di Sant’Alessio (così chiamato in onore del Beccaguto) sorgeva grossomodo all’altezza dell’attuale Piazzale Gramsci. A partire dal 1531, la creazione del dispositivo di difesa iniziato dal Capino (del quale ben presto si perdono le tracce), fu proseguita da Carlo Nuvoloni, occupato nell’impresa per circa un ventennio. Munita dal 1533 della Torre al Vaso di Porto (opera di Nuvoloni), interrotta nel 1538, ripresa nel 1542 e affidata alla sovrintendenza del Prefetto delle Fabbriche Giovan Battista Bertani e plausibilmente di Gabriele sr. Bertazzolo (padre di Giovan Angelo), la pentagonale Cittadella di Porto fu dotata di baluardi a cuneo e (al posto della medioevale porta di Santa Giulia) della nuova Porta Giulia progettata da Giulio Romano e costruita fra 1542 ca. e 1549. Nel 1569 (contrariamente alle convinzioni correnti) la moderna fortezza non era ancora ultimata. I lavori innescarono il dibattitto per il necessario aggiornamento delle cittadine mura medioevali all’uso delle armi da fuoco. Al 1572 e a un’idea dell’ingegnere militare Francesco Paciotto (piuttosto che dell’allievo Bernardino Facciotto) potrebbe risalire il disegno mostrante il progettato potenziamento delle cortine murarie cittadine con l’aggiunta di baluardi a cuneo.
Il baluardo della Madonna alla Cittadella di Porto
Nel progetto figura (con il caratteristico profilo) anche il cosiddetto Baluardo della Palata, l’unico ad essere effettivamente costruito a difesa del Castello di San Giorgio e i cui lavori sono documentati dal 1573. Nel 1576 vi fu coinvolto l’ingegnere Giovan Angelo Bertazzolo e nel 1587 il Facciotto ne eseguì la sopraelevazione. Al 1582 e alla collaborazione tra Facciotto e lo scozzese Giacomo Critonio vanno invece ascritti i progetti (e probabilmente anche la realizzazione) delle nuove fortificazioni del Te, fedelmente riportate nella Urbis Mantuae Descriptio di Gabriele Bertazzolo del 1628, ma stranamente non in quella del 1596.
Porta Giulia, ingresso orientale alla Cittadella di Porto
Terragli con baluardi a rondella furono eretti attorno alla villa periurbana, circondandola di ampi fossati a definire un’isola nell’isola, una sorta di allungata cittadella meridionale, delimitata a nord dalla Fossa Magistrale e a sud da un nuovo ampio canale scavato sul tracciato del fosso irregolare (ben riconoscibile nella veduta del 1596) che attraversava le terre basse a sud del complesso giuliesco. Gli anni di governo dei duchi Guglielmo (1550-87) e Vincenzo I (1587-1612) furono però principalmente improntati all’adeguamento delle difese del Monferrato ed alla fortificazione (con la grande cittadella bastionata) di Casale, il capoluogo della lontana ‘provincia’ acquisita per meriti matrimoniali da Federico II ed il cui possesso fu consolidato sotto il III duca. Nel 1603 l’ingegnere Giovan Angelo Bertazzolo e Fabio Gonzaga (futuro Capitano Generale delle Milizie) conducevano un accurato sopralluogo alla Cittadella di Porto al quale seguiva il preoccupato rapporto secondo cui restavano ancora da scavare le fosse, innalzare la «porta vecchia» e ampi tratti di mura, finire le cannoniere, terrapienare le cortine, consolidare alcune parti pericolanti e porre fine al furto di pietre perpetrato dai privati. Oltre tutto si rimarcava la necessità di restaurare il Vaso di Porto, danneggiato dalla forza delle impetuose correnti che lo attraversavano. Nel 1604 sempre Giovan Angelo fu impegnato, assistito dal nipote Giovan Battista, nella sistemazione idraulica dell’Isola del Te (divenuta dopo l’arginatura federiciana parte integrante delle difese meridionali della città) e nei lavori di restauro del battiponte del Castello di Governolo, minacciato (insieme alla muraglia di sponda, al piazzale antistante e alle case del borgo) dalle acque del Mincio. Nel 1605, Gabriele jr. Bertazzolo avviò i lavori per la sistemazione di Porto Catena (sul quale nel 1590 Vincenzo I aveva fatto costruire l’Arsenale Navale) e per il restauro alla Chiusa di Governolo (oggetto, dal 1608 al 1618, di un radicale intervento di aggiornamento con la costruzione della conca di navigazione) così da migliorare l’efficacia del manufatto e scongiurare il progressivo interramento dei laghi.
Nel secolo XVII, conosciuta anche l’occupazione francese e spagnola del Monferrato, estintosi il ramo principale della famiglia Gonzaga, le sorti del Ducato passarono nelle mani dei cadetti di Nevers. Da allora si registrano interventi sporadici, la cui realizzazione, affrettata dalla guerra incombente, fu affidata a tecnici esterni, come il milanese Pompilio Regnoni, il francese Baptiste de Soly de Vomainville e il capitano della Repubblica di Venezia Francesco Tensini, introdotto alla corte mantovana forse dallo stesso Gabriele jr. Bertazzolo. Durante l’assedio del 1628-29 vennero approntate opere in terra presso tutti gli ingressi della città. La guerra, innescata nel 1628 dall’arrivo a Mantova del duca Carlo I Gonzaga-Nevers e subito degenerata in lotta per la successione al ducato, sottopose la città a un feroce assedio che infrangerà la fama di imprendibile fortezza. Due disegni del 1633 mostrano le fortificazioni erette dai mantovani (ma non completate) in occasione dell’aggressione imperiale: lo «Argene ovvero falsabraga fatta dal signor Duca, finito» (a protezione delle mura merlate occidentali fra Pradella e il bastione di Sant’Alessio) e le «Fortificazioni del Te principiate dal signor Duca et non finite» (che modificarono il profilo meridionale progettato da Facciotto e Critonio). Sulle due tavole figurano anche la «Tenaglia della Pradella» e i trinceramenti a due tenaglie del Migliaretto (questi ultimi ricavati a cavaliere delle rovine dei conventi di San Matteo e Santa Chiara), opere realizzate dalle truppe alleate della Repubblica di Venezia, il cui apporto alla difesa del Ducato fu comunque generalmente limitato. Alla caduta di Mantova seguirono diversi anni di ridotta sovranità militare (dal 1631 al 1663) durante i quali, in seguito all’accordo pattuito tra Francia e Impero, la città fu stabilmente presidiata da un contingente militare veneziano. Nel 1634 furono condotti lavori per il completamento dei triceramenti del Te e qualche anno dopo venne rivestita di mattoni la mezzaluna di San Carlo fuori da Porta Pradella, non ancora ultimata nel 1639.
Nel 1637, Alfonso Guerrieri (comandante delle milizie gonzaghesche e governatore del Monferrato) sottoponeva alla duchessa reggente Maria Gonzaga un progetto di aggiornamento delle difese della Cittadella (rimasto però sulla carta), che prevedeva la costruzione di una tenaglia a protezione della porta fortificata del Vaso e dell’antistante torrione. Seguirono le proposte di Rolando Della Valle (1640), del fiammingo Daniel van den Dick (pittore di corte e Prefetto delle Fabbriche del Ducato a partire dal 1658, convocato nel 1661 per suggerire il rimedio ai danni causati alla Cittadella dalle acque correnti del Vaso) e di Salvatore Castiglione (pittore, fratello del più noto Giovan Battista detto ‘il Grechetto’) anch’egli impegnato in consulenze per le fortificazioni di Porto e di San Giorgio. Le travagliate vicende degli anni successivi, che videro Mantova disperatamente impegnata a resistere alla sempre più stringente morsa franco-imperiale, condussero alla definitiva perdita di Casale Monferrato (1681) e alla definitiva caduta dell’ultimo duca Ferdinando Carlo nel 1707.
Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers, Duca di Mantova (Wikimedia)
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