La dominazione francese sul mantovano comprende in realtà un breve intervallo austriaco dovuto al clima di instabilità geopolitica portato in Europa dagli eventi della rivoluzione francese. Le vicende militari legate alla prima campagna d’Italia vide infatti i francesi arrivare alle porte di Mantova già nel giugno del 1796. L’assedio che fu immediatamente posto alla città si protrasse per otto interminabili mesi con rare pause. Le operazioni che vedevano i soldati guidati dal generale Bonaparte opporsi agli austriaci di Würmser consentirono ai francesi di concentrarsi in particolare sulla città solo nei primi mesi del 1797 ottenendone infine la resa il giorno 2 febbraio. La cittadinanza, stremata per il lungo assedio, mostrò un iniziale entusiasmo per quella che si aspettava essere una ventata di libertà rispetto all’oppressione austriaca, ciò che ne derivò furono tuttavia pesanti contribuzioni e la spogliazione di numerose opere d’arte oltre che tributi e richieste di materiali. In seguito al trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797, Mantova fu annessa alla Repubblica Cisalpina, ora riconosciuta dall’Austria, restando tuttavia soggetta al regime di occupazione militare. Con la nascita del dipartimento del Mincio, la struttura amministrativa per il funzionamento dello stato sul modello francese, Mantova diventava capoluogo ed assumeva il rango di fortezza di confine a sud della linea difensiva del Mincio. La pace fu breve, già sul sorgere dell’anno 1799 infatti si affacciò sul panorama europeo la formazione della seconda coalizione antifrancese, formata da Austria, Inghilterra, Russia ed impero Ottomano.
La battaglia della Favorita, 15 settembre 1796 (collezione privata)
Resa di Mantova, 1797 (Wikimedia)
Approfittando della lontananza di Napoleone, impegnato in Egitto, la parte russa della coalizione guidata dal generale Suvorow scese in Italia dove ottenne importanti vittorie, congiuntasi poi con gli austriaci del Melas si diresse su Mantova.Dopo la seconda campagna d’Italia, in particolare dopo le vittorie francesi di Marengo (14 giugno 1800) e di Hohenlinden (3 dicembre 1800), gli austriaci furono costretti alla pace, siglata a Lunéville il 9 febbraio 1801, con la quale si ritornava alla configurazione geopolitica già stabilita nel trattato di Campoformio. Mantova tornò sotto una dominazione francese questa volta più rivolta a ricostruire il tessuto urbanistico e amministrativo della città che ad infliggerle pesanti tassazioni. Il generale Miollis restaurò il mito di Virgilio dedicandovi feste ricorrenti ed una piazza. Dopo il 15 febbraio 1802, con la creazione della repubblica Italiana che surrogava la Cisalpina, Mantova guadagnò una prefettura, l’amministrazione dipartimentale e municipale oltre che una camera di commercio e il tribunale mercantile. Questi riconoscimenti, confermati poi in seguito alla proclamazione del regno d’Italia il 17 marzo 1805, dimostrano quale fosse l’importanza tributata dai francesi alla città a livello amministrativo, un rango che le veniva assegnato dalla storia, ovvero dall’essere stata capitale del ducato gonzaghesco, e dalla geografia, per la centralità della sua posizione rispetto alla valle del Po con chiare implicazioni strategiche e militari. Proprio in virtù di queste, subito dopo la pace di Lunéville del 1801, Napoleone, nella carica di Primo Console, commissionò al generale François de Chasseloup-Laubat il progetto per mettere Mantova in stato di difesa.
Il generale, in servizio presso il genio militare, conosceva già la città per aver partecipato all’assedio del 1796 – 97. Egli, sulla scorta delle informazioni così acquisite, nonché sulla base di considerazioni molto fini estese all’intera Italia settentrionale, riconobbe immediatamente l’importanza della città che fungeva, insieme a Peschiera, da caposaldo della linea difensiva del Mincio.Il piano di difesa generale prevedeva infatti che sul territorio italiano si impostassero delle linee di resistenza, individuate sfruttando la presenza dei fiumi i quali costituivano già ostacoli naturali, al servizio delle quali vi fossero piazzeforti ben munite e atte a far da base per importanti operazioni belliche. In quest’ottica, le emergenze che Chasseloup dovette fronteggiare a Mantova furono di due nature intimamente connesse, la prima quella eminentemente difensiva, la seconda legata invece alle condizioni ambientali. Se la città infatti aveva tradizionalmente basato la sua sicurezza sulla presenza delle acque, queste, mal regolate, erano nel contempo fonte di insalubrità dell’aria, pestilenze e decimazioni della popolazione così come delle guarnigioni inviate a difendere la città. L’intendimento, approvato da Napoleone, si traduceva quindi nel rendere Mantova forte e sana in modo che per la sua difesa fosse sufficiente una guarnigione di 6000 uomini; il che consentiva parimenti di riequilibrare le forze impegnate sull’asse del Mincio.
Moneta coniata durante l’assedio
di Mantova del 1799 (collezione privata)
Festa in onore di Virgilio a Mantova (collezione privata)
Per realizzare lo scopo il generale francese propose un connubio di difese passive ed attive, in primo luogo infatti egli tendeva ad assicurare una regimentazione stabile alle acque, che consentisse, in caso di bisogno, la creazione di bacini profondi che cingessero l’intera città rendendola un’isola fluviale. Questa componente passiva doveva essere poi implementata da opere che accrescessero le potenzialità difensive della cinta magistrale della piazza e che, in particolare, la guarnissero opportunamente sul fronte sud-ovest tradizionalmente debole. La chiave della difesa di Mantova secondo Chasseloup ruotava attorno a due cardini, il primo consisteva nell’assicurare una profondità costante al tratto di Mincio compreso tra il lago di Mezzo e Governolo, evitando tanto le secche, con i conseguenti miasmi, quanto i rigurgiti provocati dalle piene del Po, le quali risalivano fino alla città causando inondazioni ed allagamenti incontrollati. Il secondo punto del piano prevedeva invece che, all’occorrenza, si potesse inondare l’intero fronte sud-ovest dalle fortificazioni di Pradella fino alla sponda del Mincio, a sud delle fortificazioni di Migliaretto, estendendo in questo modo verso est i limiti del lago artificiale del Paiolo. Tutto questo era, nei piani, garantito dalla realizzazione di due dighe, l’una partendo dalle fortificazioni di Migliaretto si sarebbe sviluppata, parallelamente alla sponda del fiume, a sud verso l’abitato di Pietole e avrebbe trattenuto le acque dell’allagamento del Paiolo, una seconda, detta “di casa Zanetti”, avrebbe invece sbarrato il corso del Mincio, sempre dalle fortificazioni di Migliaretto fino a casa Zanetti sulla sponda opposta, innalzando la quota dei laghi di Mezzo ed Inferiore ad un livello costante.
Entrambe le dighe, munite di chiusa a scaricatore, avrebbero garantito la sicurezza della città nei confronti delle piene del Po e del Mincio inferiore abbinando così le prerogative militari a quelle di sicurezza idraulica e salubrità dell’aria. In un piano imperniato sulla presenza dell’acqua diventava determinante poter in ogni caso disporre del suo controllo, tutte le chiuse che regolavano i livelli dei bacini diventavano pertanto i punti nevralgici da difendere ad ogni costo. Per questa ragione all’ingresso del Paiolo, presso Pradella fu necessario potenziare le opere già presenti conformandole in un sistema, a Pietole, a difesa della diga che tratteneva l’inondazione del Paiolo, fu decisa la costruzione di un forte e, alla testa della diga di casa Zanetti (già diga Chasseloup, oggi detta diga Masetti), doveva prendere posto un’opera a corno disposta in modo da fiancheggiarsi con il forte di Pietole. Accanto alle opere di nuova costruzione il generale Chasseloup ebbe cura di provvedere all’adeguamento delle altre due teste di ponte che consentivano l’accesso alla piazza: la Cittadella a nord e il borgo di San Giorgio a est. Per la Cittadella, ritenuta già sufficientemente munita, gli interventi si limitavano al suo riattamento e alla protezione alla gola.
In questa nuova configurazione Mantova si presentava come una piazzaforte a “forti staccati” munita di quattro grandi sistemi ad opere esterne, la Cittadella a nord, il sistema lunetta di San Giorgio e forte di casa Zanetti a est, il forte di Pietole, le linee di Migliaretto e il campo trincerato a sud ed infine ad ovest il sistema opera a corno di Pradella cui veniva anteposta la lunetta di Belfiore. Queste opere, inquadrate nei suddetti sistemi, formavano la cinta esterna della città, la quale poteva poi contare stabilmente sulla cintura di acque che costituivano un vero livello di difesa passiva, ed infine sulla cinta urbana. Il piano così concepito fu approvato da Napoleone nel 1802 ed immediatamente si diede il via alla progettazione particolare delle opere attuata con l’ausilio di tecnici italiani. Il genio militare, su indicazione di Chasseloup e pressioni di Napoleone il quale seguiva da vicino le sorti della città, stabilì delle priorità che consentissero a Mantova di essere, nel giro di poco tempo, capace di reggere un assedio di almeno due mesi e fungere da punto di appoggio e concentramento per le truppe impegnate in operazioni militari.
I primi a partire furono i lavori di costruzione della diga di Pietole, la quale si presentava ultimata già nel 1803 e la demolizione del borgo di San Giorgio. Ultimata la diga, con relativa chiusa, si iniziarono i grandi movimenti di terra per la realizzazione del forte di Pietole, nel frattempo definito nel suo tracciato a corona. Nel 1804, prima di iniziare la costruzione della diga di casa Zanetti, il ministero della guerra in Italia avanzò forti perplessità circa il reale ammontare economico per la realizzazione del piano Chasseloup. Secondo il ministro della guerra il piano risultava infatti ridondante in alcune parti mentre le spese previste per la sua realizzazione apparivano di parecchio sottostimate, almeno in rapporto alle somme richieste dalle prime opere già eseguite. Una commissione fu incaricata, in accordo con Chasseloup, di vagliare la bontà del piano, con lo scopo di suggerire possibili modifiche che a parità di risultato riducessero la spesa, e di recarsi sul posto a constatare lo stato d’avanzamento dei lavori, verificando in più la precisione delle stime economiche. Il quadro che uscì dalla visita dei due delegati della commissione confermò in tutto la validità degli interventi previsti dal generale francese sulla città, si rammaricavano per di più del fatto che in alcune parti il generale stesso avesse già previsto tagli e semplificazioni dei tracciati. Trovò conferma invece la necessità di rivedere l’impegno economico della realizzazione del piano dovuta in larga parte alla complessità della costruzione della diga di casa Zanetti che, rispetto a quella già eseguita di Pietole, sarebbe stata più lunga, più alta ed interamente fondata nell’acqua del lago. Per la testa del ponte di San Giorgio il generale non volle ipotizzare un miglioramento difensivo del borgo, ritenutolo troppo vulnerabile e superato nella concezione con i suoi pochi lunettoni in terra collegati da un semplice muro con anteposto un fossato, per cui propose la sua surroga con un sistema a lunetta e batterie a paradosso che potesse fiancheggiare il forte di casa Zanetti.
Generale
François de Chasseloup-Laubat (Wikmedia)
In questa nuova configurazione Mantova si presentava come una piazzaforte a “forti staccati” munita di quattro grandi sistemi ad opere esterne, la Cittadella a nord, il sistema lunetta di San Giorgio e forte di casa Zanetti a est, il forte di Pietole, le linee di Migliaretto e il campo trincerato a sud ed infine ad ovest il sistema opera a corno di Pradella cui veniva anteposta la lunetta di Belfiore. Queste opere, inquadrate nei suddetti sistemi, formavano la cinta esterna della città, la quale poteva poi contare stabilmente sulla cintura di acque che costituivano un vero livello di difesa passiva, ed infine sulla cinta urbana. Il piano così concepito fu approvato da Napoleone nel 1802 ed immediatamente si diede il via alla progettazione particolare delle opere attuata con l’ausilio di tecnici italiani. Il genio militare, su indicazione di Chasseloup e pressioni di Napoleone il quale seguiva da vicino le sorti della città, stabilì delle priorità che consentissero a Mantova di essere, nel giro di poco tempo, capace di reggere un assedio di almeno due mesi e fungere da punto di appoggio e concentramento per le truppe impegnate in operazioni militari.
I primi a partire furono i lavori di costruzione della diga di Pietole, la quale si presentava ultimata già nel 1803 e la demolizione del borgo di San Giorgio. Ultimata la diga, con relativa chiusa, si iniziarono i grandi movimenti di terra per la realizzazione del forte di Pietole, nel frattempo definito nel suo tracciato a corona. Nel 1804, prima di iniziare la costruzione della diga di casa Zanetti, il ministero della guerra in Italia avanzò forti perplessità circa il reale ammontare economico per la realizzazione del piano Chasseloup. Secondo il ministro della guerra il piano risultava infatti ridondante in alcune parti mentre le spese previste per la sua realizzazione apparivano di parecchio sottostimate, almeno in rapporto alle somme richieste dalle prime opere già eseguite. Una commissione fu incaricata, in accordo con Chasseloup, di vagliare la bontà del piano, con lo scopo di suggerire possibili modifiche che a parità di risultato riducessero la spesa, e di recarsi sul posto a constatare lo stato d’avanzamento dei lavori, verificando in più la precisione delle stime economiche.
Il quadro che uscì dalla visita dei due delegati della commissione confermò in tutto la validità degli interventi previsti dal generale francese sulla città, si rammaricavano per di più del fatto che in alcune parti il generale stesso avesse già previsto tagli e semplificazioni dei tracciati. Trovò conferma invece la necessità di rivedere l’impegno economico della realizzazione del piano dovuta in larga parte alla complessità della costruzione della diga di casa Zanetti che, rispetto a quella già eseguita di Pietole, sarebbe stata più lunga, più alta ed interamente fondata nell’acqua del lago. Nel 1805 furono concentrati i lavori sul forte di Pietole e si portò a termine la progettazione della lunetta di Belfiore, nell’anno successivo invece, inseguito all’editto napoleonico che voleva che il Mincio fosse reso navigabile fino al Garda, furono messi in discussione nuovamente i fondamenti del piano Chasseloup. Questo fu confrontato con una nuova proposta, elaborata dal generale Nicolas Benoît Haxo, molto severa nei confronti della regimentazione idrica. Questi voleva sostanzialmente l’eliminazione dei laghi a favore di un canale artificiale che avrebbe consentito la navigazione e lo scolo delle acque eliminando definitivamente il problema dell’insalubrità dell’aria. Il piano alternativo di Haxo fu considerato ancor più impegnativo in termini di risorse e realizzazione, per questo, nello stesso anno, ripartirono con nuovo impulso i lavori ai fortilizi improntati da Chasseloup. Nel 1808 fu tracciato il piano direttore per la costruzione della lunetta di San Giorgio, furono compiuti i disegni di dettaglio delle opere di Belfiore e si mise mano all’ammasso di linee chiamato campo trincerato il quale, dotato di nuovi bastioni salienti, doveva essere spianato perché si ricavassero terre per l’agricoltura ed un campo di marte. Nel 1812 una nota dettata da Napoleone indicava la necessità di realizzare la lunetta di Pompilio, di dotare di caponiere i bastioni del campo trincerato e di realizzare una testa bastionata a nord della diga di Pietole che fosse dotata di corpo di guardia in casamatta. Non fu fatta invece più menzione, probabilmente per questioni di risorse, dell’opera di casa Zanetti, per la quale fu arrestata la progettazione al tracciato preliminare.
Accanto ai lavori di riconfigurazione dell’assetto difensivo si resero necessari una serie di interventi, questa volta in ambito urbano, per la riorganizzazione logistica della piazza. Occorreva infatti trovare una collocazione fissa e funzionale a caserme, magazzini alimentari, depositi di materiale bellico, ricoveri per il bestiame, ospedali e tutto quel complesso di strutture necessarie alla città in tempo di pace così come in tempo di guerra. In ciò i francesi furono grandemente favoriti dalla disponibilità dei numerosi stabili ricavati dalla soppressione degli ordini religiosi realizzata con le ultime vampe della fiamma giacobinista. Furono così facilmente adattati a caserme il monastero di San Giovanni, di San Maurizio, di San Domenico, dei Filippini, della Cantelma e quello delle Servite di San Barnaba. Nel 1805 fu la volta dei conventi di Sant’Orsola e San Francesco che furono trasformati il primo in magazzino e il secondo in arsenale militare. Il convento dei Cappuccini trovò nuovo impiego come ospedale mentre quello di San Cristoforo fu affidato al genio perché vi stabilisse magazzini ed uffici. Oltre al recupero delle strutture ecclesiastiche, l’amministrazione francese, soprattutto verso gli ultimi anni della dominazione, provvide ad occupare per fini militari alcuni spazi persino in abitazioni private nonché locali del seminario, del ginnasio, del castello di San Giorgio e dello stesso palazzo ducale.
Nel complesso dei lavori eseguiti si può notare come l’impegno dei francesi a Mantova fu rivolto in maggior parte allo studio e alla realizzazione del sistema difensivo, ovvero alle fortificazioni permanenti. La riorganizzazione logistica della piazza, secondo un modello organico che era già stato impostato sotto la prima dominazione austriaca, troverà infatti compimento solo nella seconda metà dell’Ottocento ad opera nuovamente degli austriaci.
Euegnio di Beauharnais, viceré d’Italia (Wikimedia)
Il 1813 fu un anno particolarmente significativo, inseguito infatti alla sconfitta di Napoleone a Lipsia ad opera delle truppe della sesta coalizione, i francesi furono impegnati in due campagne di difesa, una in Francia ed una in Italia. La seconda in particolare vedeva i soli austriaci contrapporsi all’esercito comandato da Eugenio di Beauharnais. La strategia difensiva del Viceré puntava sulle piazzeforti dell’Italia settentrionale come basi attorno alle quali organizzare la resistenza. Queste circostanze spinsero il genio militare a creare le condizioni affinché anche Mantova, come le altre piazze, potesse essere messa in stato di guerra, per questo, davanti ad ogni opera fortificata fu ordinato lo sgombero di ogni ostacolo che potesse diminuire la visibilità e l’efficacia del tiro di artiglieria. Il provvedimento, firmato dal colonnello Michel, sancì la distruzione del borgo di Pietole, degli edifici prospicienti la lunetta di San Giorgio, delle case attorno alla Cittadella così come di quelle ubicate nei pressi della lunetta di Belfiore e del campo trincerato.
Il primo abboccamento tra le truppe francesi ed austriache avvenne sulla linea dell’Adige e comprovò la bontà del piano di Eugenio che non concesse margini di avanzate alle armate imperiali. Dopo la defezione del regno di Napoli, l’esercito del Beauharnais si trovò solo a fronteggiare gli austriaci in Italia, per questo il Viceré ritenne prudente arretrare sulla linea del Mincio che vantava in Mantova e Peschiera due capisaldi munitissimi. L’8 febbraio del 1814 si combatté la battaglia del Mincio che vide i francesi conquistare un’importante vittoria, tuttavia altrettanto non succedeva in Francia dove il 31 marzo Parigi si arrendeva alle truppe della coalizione. L’eco del trattato di Fontainebleau dell’11 aprile 1814, che sanciva la destituzione di Napoleone dal trono dell’impero di Francia, arrivò fino in Italia dove scoppiarono disordini tra le popolazioni stanche di guerre e di sottomissioni. Nonostante Eugenio fosse nel frattempo riuscito a smarcarsi dalla caduta del patrigno, conservando per se il titolo di re d’Italia e il controllo della Lombardia, il 23 aprile fu costretto a Mantova alla firma di una convenzione con il generale Johannes Bellegarde. Con questa il generale austriaco si vide cedere il comando dell’esercito di Eugenio, forte di 45.000 uomini, che lo aveva battuto solo tre mesi prima. Mantova vide così, il 28 aprile 1814, la dipartita delle truppe francesi le quali restituivano la città in mani austriache. La città riconsegnata era molto diversa rispetto a quella che l’amministrazione asburgica aveva lasciato solo diciassette anni prima, ora essa era forte di un nuovo sistema difensivo e, grazie alla regolamentazione idrica dei bacini che la cingevano, più sana. Il bilancio dei lavori eseguiti durante il periodo francese vide infatti la sistemazione di gran parte della cinta cittadina in particolare del tratto compreso tra il bastione di Sant’Alessio e l’opera di Pradella, la quale era stata riconfigurata e collegata con l’antistante lunetta di Belfiore.
Risultavano completati i lavori di trasporto di terra per la realizzazione del forte di Pietole, del quale erano già state realizzate in muratura le opere esterne, così come avanzata era la formazione del rilevato della diga di casa Zanetti senza l’omonimo forte. La lunetta di San Giorgio era conformata, la controscarpa e il grande ridotto saliente terminati mentre restavano da completare il rivestimento del corpo della lunetta e la caponiera di destra. Per il completamento della lunetta di Belfiore, della quale erano già state eseguite anche le gallerie di contromina con struttura in legno, mancavano solo gli spalti. Formati apparivano inoltre i bastioni del campo trincerato e di Migliaretto comprese le cortine di collegamento. I lavori di riattamento della cittadella erano circa a metà dello svolgimento. Restavano incompiuti invece i lavori di potenziamento del tratto est della cinta cittadina, la costruzione della conca di navigazione sulla diga – ponte dei Mulini, la lunetta di Pompilio, la testa a nord della diga di Pietole e le grandi caponiere nei bastioni del campo trincerato.
Si evince da questa essenziale ricostruzione come nel corso di soli 13 anni, dal 1801 al 1814, veda la luce e gran parte della realizzazione quello che fu il piano più complesso e articolato per la difesa della città di Mantova. Questo, concepito oltralpe seppure con profonda conoscenza della realtà locale, si imporrà come dato di partenza per tutti gli interventi successivi e costituirà negli anni un elemento strutturante per lo sviluppo urbanistico della città. È questo il dato più significativo e tangibile costituente l’eredità che il periodo francese ha lasciato a Mantova.
Principali fonti bibliografiche
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