Il 21 gennaio 1707, il duca Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers fu costretto ad abbandonare Mantova e il possesso del ducato gonzaghesco fu dichiarato ereditario della Casa d’Austria. L’annessione all’Impero si rivelò determinante per il futuro del Mantovano; l’insediamento del governo imperiale segnò, infatti, per l’ex ducato l’inizio di un periodo di profondi cambiamenti dopo la fase di decadenza che aveva caratterizzato gli ultimi decenni della signoria gonzaghesca. Dopo circa quattro secoli, Mantova cessò improvvisamente e definitivamente di essere capitale dell’omonimo stato per trasformarsi di fatto in capoluogo di una delle numerose entità provinciali che all’epoca costituivano l’Impero; inoltre per la sua collocazione geografica, così come per la sua posizione naturalmente fortificata, congiunta alle opere difensive di tradizione rinascimentale e per il suo ruolo di postazione avanzata nell’accerchiamento della Repubblica di Venezia, alla città fu da subito riconosciuto ed attribuito un fondamentale valore strategico-militare nell’ambito della difesa dei territori imperiali dell’Italia settentrionale.
L’importanza strategica di Mantova fu chiara all’Austria già all’indomani della sua annessione all’Impero e non deve pertanto stupire se i nuovi governanti concentrarono da subito tutte le loro attenzioni al potenziamento delle difese della città, chiamata ad assolvere ad un ruolo nevralgico all’interno di un sistema difensivo che teneva ora conto di interessi ed ambiti territoriali ben più vasti di quello di un semplice ducato. L’immediata operatività militare richiesta alla città, dettata dal forte impegno militare a cui gli Asburgo furono chiamati in Europa durante tutta la prima metà del secolo, coincise con un rapido inizio dei lavori, finalizzati sostanzialmente al ripristino e alla manutenzione delle opere esistenti nell’intento di mettere la città in stato di difesa nel minor tempo possibile.
L’Europa dopo i trattati di Utrecht e Rastatt
Quando il Mantovano entrò a far parte della monarchia asburgica, la città, circondata dall’acqua dei laghi, da sempre elementi determinanti della sua difesa, era racchiusa da una semplice cinta muraria merlata, sporadicamente munita di torri e bastioni soprattutto in corrispondenza del fronte meridionale e delle principali vie d’accesso, difese oltre i laghi, in direzione di Legnago, dal borgo fortificato di San Giorgio, in direzione di Verona dalla cinquecentesca Cittadella e verso Milano dalle opere di Pradella.
Piano di potenziamento delle difese del 1744 (ASBo, Archivio Pallavicini, serie XII, n. 6)
Il fronte bastionato meridionale, l’unico a non essere lambito dalle acque dei tre laghi principali, era protetto da un ampio fossato oltre il quale si estendeva l’isola del Te con i suoi trinceramenti e dal Serraglio, ampia area quadrilatera compresa tra i corsi del Mincio e del Po, regolata da un sistema idraulico che ne permetteva l’impaludamento in caso di necessità. Un sistema difensivo che si trovava però, dopo molti anni di incuria, in deplorevole stato di conservazione e non aggiornato alle mutate esigenze difensive. Nel procedere dei lavori, accanto alla sistemazione e manutenzione di porte urbane e corpi di guardia furono infatti eseguite riparazioni alle mura, furono ripristinati parapetti, rivestimenti in pietra e baluardi esistenti. Gli interventi di maggiore portata si concentrarono però sulla Cittadella, estremo baluardo difensivo posto oltre il ponte dei Mulini ed elemento fondamentale del sistema idraulico della città, la cui antica struttura cinquecentesca ad impianto pentagonale irregolare si mostrava ormai inadeguata alle mutate esigenze difensive. Essa fu quindi potenziata mediante l’aggiunta di opere addizionali esterne realizzate secondo principi aggiornati alle più moderne teorizzazioni riguardanti i fronti bastionati.
Solo a partire dagli anni Trenta del secolo, con la consapevolezza che Mantova rappresentava l’estremo baluardo difensivo dell’armata imperiale per la difesa dei territori dell’Italia settentrionale, per altro confermata dal succedersi degli eventi della guerra di successione polacca, è documentata l’elaborazione di piani generali per il potenziamento dell’intera fortezza. Se la documentazione archivistica restituisce al momento soltanto alcune prime indicazioni relative ad un piano di potenziamento generale elaborato nel 1735, che prevedeva sostanzialmente il rafforzamento del fronte meridionale della fortezza da realizzare secondo norme e principi caratteristici delle fortificazioni contemporanee ma eccessivamente costoso, ampiamente documentato è invece il piano proposto nel 1744, che tentò di coniugare l’immediata esigenza di mettere Mantova in stato di difesa con le imprescindibili questioni economiche.
Considerata la relativa facilità con cui il nemico avrebbe potuto in qualsiasi momento scolare le acque che circondavano la città, da sempre considerate essenziale elemento di difesa, e le modalità d’attacco che l’avversario avrebbe potuto mettere in atto nei confronti della fortezza, gli ingegneri imperiali predisposero l’integrazione della cinta esistente con un sistema di opere esterne a carattere campale, in terra, da realizzare rapidamente e a basso costo. In particolare per ostacolare un eventuale attacco proveniente dal fronte meridionale si rendeva necessario provvedere al potenziamento delle opere esistenti sulle alture del Migliaretto e del trinceramento del Te mediante frecce, traverse, parapetti e palizzate. Allo stesso modo per fronteggiare un’eventuale offensiva dalla parte di porta Pradella occorreva terminare «l’opera avanzata alla testa dell’argine in forma d’opera a corno (…) con le due lunette». Occorreva poi evitare che il nemico si impossessasse della Cittadella, elemento fondamentale per la difesa di tutta la fortezza, posta a difesa del ponte diga dei Mulini, che assieme all’argine di Pradella garantiva il livello delle acque del lago superiore. Qui in particolare era necessario scavare i fossati di protezione e con la terra ricavata realizzare nuovi terrapieni e parapetti.
Contemporaneamente all’interno della città si procedette alla definizione di tutte le strutture di supporto necessarie al funzionamento e all’efficienza di un fortezza: caserme, magazzini, depositi, ospedali ecc. La necessità di una immediata conversione di Mantova da capitale ducale in fortezza imperiale giustificò il consolidarsi della prassi di dislocare i quartieri militari in edifici di ragione privata o camerale. Si assistette infatti ad una incondizionata requisizione di case, palazzi e ville signorili e all’occupazione di complessi già gonzagheschi divenuti di proprietà camerale. La splendida villa extraurbana della Favorita, realizzata all’inizio del XVII secolo su progetto di Nicolò Sebregondi, nonostante la riconosciuta magnificenza, fu destinata ad alloggio e deposito dell’artiglieria; la villa di Marmirolo, oggi totalmente scomparsa, fu trasformata in magazzino delle polveri così come la prestigiosa villa giuliesca del Te affittata all’artiglieria che ne ricavò depositi e magazzini. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo le contingenze militari lasciarono finalmente spazio a programmi di intervento riformatore, finalizzati alla ristrutturazione dell’intero apparato statale. Accanto ai numerosi interventi di carattere civile, ispirati alle nuove esigenze della società illuminista, si continuarono però a registrare sistematici interventi in ambito militare, differenziati da quelli del periodo precedente per un più accentuato carattere programmatico.
Piano di potenziamento delle difese del 1753 (ASMi, Militare parte antica, b. 350)
All’indomani della pace di Aquisgrana, l’attenuarsi delle tensioni politiche e l’affermarsi a livello europeo di un lungo periodo di pace, non determinarono infatti sostanziali variazioni agli orientamenti già definiti durante la prima metà del secolo; l’Impero perseguì con efficacia la sistematica riorganizzazione delle proprie difese che nel caso di Mantova si tradussero in una attività progettuale, aggiornata alle differenti e più recenti teorizzazioni dell’arte fortificatoria, con diverse soluzioni progettuali, elaborate da alcuni fra i più qualificati ingegneri militari dell’Impero e tradotte in piani generali che ebbero come comune denominatore soluzioni per l’ottimizzazione dello sfruttamento, a fini difensivi, delle acque del Mincio. Nel 1748 il ministro plenipotenziario per la direzione del governo generale degli stati della Lombardia Gianluca Pallavicini, nell’ambito della definizione del piano militare di tutta la Lombardia austriaca, affidò al vice direttore del Genio il generale de Bohn l’ispezione di tutte le piazze dei territori imperiali dell’Italia settentrionale per poter definire gli opportuni interventi di potenziamento.
Nella sua relazione riguardante Mantova, partendo da un excursus storico, de Bohn fornì un’attenta descrizione dello stato nel quale si trovava la fortezza, riferendo considerazioni sui suoi punti deboli e suggerimenti progettuali. Nel complesso il progetto da lui proposto teneva conto dell’estensione della cinta magistrale e della conformazione del terreno allo scopo di irrobustire i punti deboli della fortezza, in particolare il fronte meridionale, per uniformare l’efficacia della difesa, nonostante l’evidente disomogeneità delle opere. Il rapido mutare delle situazioni e nuove strategie politiche e difensive fecero però ancora una volta rinviare e poi accantonare la maggior parte degli interventi proposti.
L’ex darsena militare presso la Cittadella di Porto
Nel marzo del 1753 il Consiglio Aulico di Guerra, ordinò un’ispezione alle fortezze di Pizzighettone, Milano, Pavia e naturalmente Mantova, definita clavis capitalis universale Italiae per poter provvedere al loro miglioramento e riparazione. Secondo la nuova organizzazione del Genio militare l’elaborazione dei progetti relativi alla manutenzione e alla trasformazione delle fortificazioni dal 1748 era divenuta competenza del Corpo degli Ingegneri militari, che suddivisi in brigate operavano sui territori di specifica competenza. Fu quindi richiesto agli ingegneri in servizio in Italia di procedere, sulla base delle relazioni già redatte dal vice direttore de Bohn ad un confronto con lo stato di fatto e di redigere nuovi piani per le riparazioni e il potenziamento delle opere. A Mantova spettò quindi al capitano ingegnere Nicolò Baschiera, direttore delle fortificazioni della fortezza, sviluppare, sotto la supervisione del colonnello ingegnere Ernesto de Tello, il piano generale richiesto per il potenziamento della fortezza, completo di computi metrici e preventivi. Lo sfruttamento ai fini difensivi delle acque che circondavano la città si associava ad un sistema di opere addizionali elaborate secondo i più aggiornati principi dei fronti bastionati. In particolare per potenziare e rafforzare il fronte bastionato meridionale, l’unico a non essere adeguatamente difeso dalle acque del Mincio, fu prevista la costruzione di cinque nuovi bastioni, quattro dei quali staccati dall’esistente cinta muraria, fiancheggiati da tenaglie poste fra questi e la cortina muraria, e controguardie a protezione dei baluardi esistenti; tutto protetto da una articolata strada coperta e da un fossato.
Così potenziato questo fronte, in caso di necessità, sarebbe stato inoltre protetto dalle acque che per mezzo di un adeguato sistema di chiuse dal lago superiore avrebbero inondato tutta la zona del Paiolo. Sugli altri fronti, già convenientemente protetti dalle acque dei laghi, era invece necessario riparare la cinta muraria esistente che deteriorata minacciava in più punti di crollare, e potenziare le opere poste in corrispondenza delle principali porte urbane. Furono previsti anche interventi orientati al potenziamento delle fortificazioni più esterne. L’opera avanzata di porta Pradella, la cui conservazione era di fondamentale importanza per la difesa dell’omonima diga, dato che assieme a quella dei Mulini sosteneva le acque del lago Superiore, doveva essere terminata ed ampliata come avrebbe dovuto esserlo la Cittadella. Per quest’ultima in particolare occorreva portare a termine i lavori iniziati nel 1717 potenziando le sue opere verso la campagna, rendendo invece inoffensive quelle verso i laghi per impedirne al nemico l’eventuale utilizzo contro la città. Benché approvato da Vienna, il piano trovò però esecuzione solo nei suoi caratteri più generali, secondo un programma di interventi finalizzati al consolidamento e potenziamento delle opere esistenti, diretto dallo stesso Baschiera, iniziato nel 1755 e pressoché ultimato nel 1764. L’unico intervento su ampia scala realizzato riguardò ancora una volta la Cittadella di Porto dove fu sistemato il “Marasto” che si trovava al suo interno trasformandolo in una darsena militare, collegamento fluviale fra la città e la cittadella fondamentale in caso d’assedio.
La mancata realizzazione del progetto del 1753 favorì un ampio dibattito sulle modalità di potenziamento della fortezza, favorito anche dal clima di pace che caratterizzò l’Europa nella seconda metà del XVIII secolo e dall’assenza di contingenti esigenze militari. Nel 1763 il FML Robert Spalart, poco prima di essere nominato direttore delle fortificazioni della Lombardia presentò un nuovo progetto che si distingueva da quello de Bohn-Baschiera per la definizione del sistema e per il numero di opere proposte. Nel progetto Spalart lo sfruttamento degli elementi naturali divenne la chiave dell’intero sistema difensivo. In contrapposizione al sistema bastionato proposto per il fronte meridionale, Spalart suggeriva infatti di coprire l’intero fronte con un numero inferiore di opere ma soprattutto con la deviazione delle acque del Paiolo; a questa grande inondazione si sarebbe dovuto aggiungere un semplice cammino coperto, potenziato da alcune piccole opere poste ai piedi della sua scarpa. Il confronto con la soluzione progettata da Baschiera evidenzia chiaramente l’impostazione di due differenti scuole di pensiero: dalla soluzione di un fronte bastionato alla francese si passava ad una soluzione in cui architettura militare e idraulica erano strettamente congiunte nello sfruttamento a fini difensivi di una particolare configurazione territoriale. Anche il piano del 1763 fu abbandonato. Ancora una volta il prolungato stato di pace e il permanere di difficoltà economiche rinviarono qualsiasi decisione e le necessità di potenziare le difese tornarono d’attualità solo all’inizio degli anni Ottanta del secolo, a causa dell’imminente pericolo francese.
Piano di potenziamento delle difese del 1763 (ASMi, Militare parte antica, b. 350)
Interessante in questo contesto un progetto che si ritiene, seppure con le dovute cautele, possa illustrare un progetto del 1780, in cui le soluzioni presentate si discostano dalle elaborazioni precedenti. Per il corpo di piazza fu ipotizzato il rafforzamento dei baluardi esistenti con l’aggiunta di alcune nuove opere; a difesa dell’accesso alla città in direzione di San Giorgio fu proposta la soluzione di due nuovi ridotti ad impianto quadrangolare a fiancheggiamento della strada e nel tentativo di risolvere i problemi legati connessi alla chiusa e sostegno di Governolo, fu proposta la realizzazione di una nuova chiusa che dal trinceramento del Migliaretto avrebbe dovuto attraversare il lago e giungere in corrispondenza di casa Zanetti; soluzione realizzata successivamente dal Genio militare francese. I bacini dei laghi di Mezzo e Inferiore erano, infatti, sostenuti e regolati nel proprio livello dalla chiusa e sostegno di Governolo, opera che costituiva il necessario compimento del vasto disegno di antropizzazione del sistema lacustre mantovano e al contempo posizione di fondamentale importanza ai fini militari; considerata la distanza dal corpo di piazza,
Ex convento poi caserma di Sant’Agnese, oggi sede del Museo Diocesano, facciata.
però presentava il non trascurabile inconveniente di essere difficilmente raggiungibile e difendibile in caso d’assedio. La risoluta volontà di risolvere la questione diede inizio ad una serie di studi e progetti che portano la firma di tecnici di assoluto valore come Antonio Maria Azzalini, Francesco Cremonesi, Nicolò Baschiera, che tuttavia per ragioni di funzionalità e insufficienza di risorse economiche non furono realizzate. In definitiva, a fronte di un’intensa attività progettuale, seguirono solo pochi interventi; il Genio militare imperiale si può dire che mantenne lo status quo, intervenendo unicamente nel perfezionamento del sistema idraulico strettamente connesso alle opere di difesa, continuando in definitiva a contare sulle indubbiamente connaturate capacità difensive di questo territorio. Parallelamente, anche durante la seconda metà del secolo, gli ingegneri militari furono impegnati nella definizione di strutture logistiche a servizio della fortezza e in questo periodo si assistette ad una loro progressiva riorganizzazione e pianificazione anche attraverso una elaborazione di specifici modelli edilizi. Occorre ricordare che si trattò di un processo reso possibile in particolare dalla riforma degli enti religiosi. La politica delle soppressioni, avviata da Maria Teresa, proseguita dal figlio Giuseppe II e poi completata da Napoleone all’inizio del XIX secolo, consentì infatti la devoluzione di ampie aeree ed edifici ex conventuali che proprio per le caratteristiche del loro impianto potevano facilmente adattarsi a nuovi e differenti usi. Molte delle caserme erano state ricavate in case e palazzi nobiliari, per le quali lo stato pagava l’affitto; nel 1783 ad uso di caserma fu destinato anche l’ex convento degli Agostiniani di Sant’Agnese, oggi sede del museo diocesano cittadino.
Anche magazzini e depositi di vario genere erano stati ricavati in case e palazzi “particolari” o di propietà camerale; nella seconda metà del secolo accanto alla costruzione di nuove polveriere come quella presso la Cittadella di Porto, e quella di Santa Barbara sull’Anconetta in città, furono adattati a deposito dell’ I. R. Artiglieria l’ex convento di Santa Maria del Gradaro dei monaci Olivetani, il vicino convento delle monache di Santa Paola e la scomparsa chiesa di Sant’Antonio. La fabbrica delle polveri di Marmirolo fu oggetto di interventi di ampliamento e trasformazione legati alle disposizioni centrali finalizzate ad una maggiore produzione di polvere sia per il Castello di Milano sia per la fortezza di Mantova e nuovi magazzini delle polveri furono ricavani nell’ex complesso dei monaci Camaldolesi del Bosco Fontana fatto realizzare nel 1633 dal duca Carlo I per i frati Benedettini Camaldolesi poco discosto dal retro della palazzina di caccia. All’interno della fortezza anche l’assistenza sanitaria alle truppe era un aspetto fondamentale dell’efficienza militare del presidio. Nel 1783 l’imperatore, al fine di riunire in una unica sede gli ospedali militari sparsi in diverse sedi all’interno della città destinò a tale uso l’ex complesso delle monache Cappuccine, nel quartiere di San Leonardo. Ma assieme all’assistenza sanitaria all’interno della fortezza si doveva poter garantire anche la possibilità di sepoltura per i soldati di guarnigione deceduti. Inizialmente pare che i soldati venissero sepolti fuori città, presso il Borgo di San Giorgio, una località ritenuta però dalle autorità militari troppo distante dal corpo di piazza. Le sepolture militari furono quindi spostate a ridosso delle mura cittadine in corrispondenza del quartiere di San Leonardo, con grave pregiudizio per la salubrità della zona, motivo per il quale fu poi trasferito nella zona dei Campi Santi, una zona meridionale della città ove sorgeva tra l’altro l’antico cimitero ebraico. Si trattò però di una soluzione provvisoria: nel 1786 infatti le disposizioni giuseppine stabilirono l’allontanamento incondizionato dai centri abitati di tutti i luoghi di sepoltura. In questo modo la città veniva progressivmante trasformata in fortezza, un insieme di operazioni che portarono però essenzialmente ad una trasformazione principalmente funzionale del tessuto urbano: la città mantenne infatti la sua storica configurazione morfologica subendo appunto diffuse trasformazioni funzionali e talvolta formali del costruito. Nella primavera del 1796 Napoleone Bonaparte entrò in Italia e il 2 febbraio 1797, dopo un lungo assedio, la fortezza di Mantova si arrendeva ai francesi. Gli austriaci abbandonarono la città, ma questa prima occupazione francese ebbe breve durata: il 30 luglio del 1799 infatti, gli austriaci rientrarono a Mantova, successivamente riconquistata dai francesi nel febbraio del 1801.
Ex ospedale militare, particolare dell’ingresso
Principali fonti bibliografiche
Bonora, C. (1999), Le difese militari, in Mantova e il suo territorio, a cura di G. Rumi, G. Mezzanotte, A. Cova, Milano, Cariplo, pp. 213-247.
Bonora Previdi, C. (2003), Il Mincio e la guerra. Storia di eserciti e fortificazioni, in Mincio. Parco laboratorio. Cultura e tecniche di manutenzione e valorizzazione del paesaggio, a cura di R. Pugliese, Milano, Edizioni Unicopli, pp. 223-247.
Bonora Previdi, C. (2009), Mantova e le difese imperiali. Architettura e ingegneri militari durante gli anni della prima amministrazione asburgica (1707-1797), «Postumia», 20/1-2, pp. XXI-XXIII.
Bonora Previdi, C.-Roncai, L. (2008), Da città ducale a capoluogo di provincia: l’architettura a Mantova 1707-1946, in “Storia di Mantova. Uomini, ambiente, economia, società, istituzioni. Le radici del presente (1792-1960)”, a cura di M.A. Romani, vol. II, Mantova, Tre Lune Edizioni, pp. 73-155.
Ferrari, D. (2000), La città fortificata. Mantova nelle mappe ottocentesche del Kriegsarchiv di Vienna, Modena, Il Bulino.
Ferrari, D. (2005), Mantova nel Settecento: “la porta d’Italia per l’Augusta Casa d’Austria”, in Festung und Innovation. Jahrbuch der Österreichischen Gesellschaft zur Erforschung des achtzehnten Jahrhunderts, Hg. H. Heppner, W. Schmale, Bochum, Verlag Dr. Dieter Winkler, pp. 53-72.
Ferrari, D. (2010), Mantova nel Settecento. «La porta d’Italia per l’Augusta Casa d’Austria», in Il paesaggio mantovano dall’età delle riforme all’Unità (1700-1866), Atti del Convegno (Mantova, Teatro Scientifico, 19-20 maggio 2005), a cura di E. Camerlanghi, V. Rebonato, S. Tammaccaro, Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze Lettere e Arti, Firenze, Leo S. Olschki, pp. 51-72.